di Matteo Sciacca

Questo viaggio era iniziato in silenzio. Non c’era il clamore dettato dall’attesa, da elenchi scritti e riscritti scegliendo con cura cosa mettere in valigia e cosa no. Non c’era un biglietto da comprare in fretta, non c’era neanche da organizzarsi per passare a prendere qualcuno, andare insieme in aeroporto, spostarsi in un’altra città, con tutto quello che ne consegue. Quando raccontavo ad alcuni miei amici dell’esperienza che avrei fatto, non riuscivo a immedesimarmi nel viaggiatore e a darmi un tono.

Eppure, un viaggio c’è stato. Si chiama “Bottega delle parole”, ma è stato l’incontro tra noi educatori e ragazzi adolescenti. Mondi sommersi, che emergevano in tutta la loro bellezza.

Abbiamo viaggiato insieme, seguendo quello che ci suggeriva il parlare di emozioni, scriverne su, disegnarci, costruire qualcosa che sprigionasse il nostro altro, quello che di solito teniamo nascosto.

Mondi sommersi, che i ragazzi nascondevano con cura, avvolgendoli nella loro musica, nel loro sentirsi poco importanti, nel considerare le loro parole di poco conto, superficiali e inadatte.

Qui, nel punto più basso del loro credersi inadeguati, si è trovato lo slancio per andare oltre.

Non c’è voluto molto a fargli cambiare idea.

Sono partiti dal loro sogno, dalle parole che lo contraddistinguono, alcune di loro molto simili tra loro.

Lo hanno poi avvolto e protetto con un rifugio, utilizzando del fil di ferro.

Sono arrivati alla fine della giornata consapevoli di ritrovarsi qualcuno che guardava le cose con i loro stessi occhi.

E poi?

Gli abbiamo proposto di realizzare il loro io, sempre con il fil di ferro. Ognuno di loro poi riceveva un commento, anonimo, sulla loro opera: poteva essere una suggestione, un titolo, un ricordo. Insomma, qualcosa che l’artista non si aspettava, che non era previsto. Qualcosa che gli dicesse: il tuo sguardo, il tuo fare sul mondo, ha un valore profondissimo.

Dai commenti ricevuti, doveva realizzare una storia.

Hanno tutti scritto, molti hanno condiviso, qualcuno ha fatto leggere la propria storia ad altri, ma tutti hanno voluto dare voce a quello che avevano prodotto.

Alcuni si sono commossi. Sicuramente noi educatori ci siamo disciolti. Alla fine di ogni giorno, era il pensiero fisso: sono stati straordinari.

Dopo aver riflettuto su di loro, sono andati oltre: hanno espresso il loro messaggio per il mondo, portandolo e decorando il quartiere con le loro idee.

Hanno lasciato il loro segno all’interno di un parco, e con il gesso hanno scritto il desiderio per la città.

“Nella mia città la bellezza è la diversità”.

“Nella mia città si è liberi di dire di tutto”

“Nella mia città non si lascia indietro nessuno”

Hanno detto di tutto, hanno detto molte cose belle, hanno disegnato il pavimento, hanno insistito nel colorarlo e i disegni si sono intrecciati con gli altri, creando uno spazio solo loro.

La loro città era piena di sogni, di desideri, di passioni da condividere con gli altri.
Una settimana insieme basta per creare un gruppo, per raccontarsi una storia diversa da quella di partenza?

Siamo rimasti coinvolti anche noi, anche se negli adulti c’è sempre quel pudore che vuole tenere distanti…ci abbiamo provato, ma non era possibile. Perché anche se la bottega delle parole era per i ragazzi, noi ci eravamo dentro fino al collo.

Siamo stati sommersi dall’affetto sincero di ragazzi che chiedevano solo di esserci.

E negli ultimi momenti che ci separavano dalla fine della bottega, la nostra stanchezza di giornate calde e intense si è trasformata in un saluto profondo. I ragazzi non riuscivano ad andarsene, e noi sentivamo già un po’ di nostalgia perché il viaggio era finito.

Il viaggio che non lo era, lo è stato, ed in maniera travolgente.

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