di Chaiara Romano

C’è uno sfuggente filo conduttore in tutto questo, l’ho riconosciuto tra quei fiori viola, nel profumo delle magnolie, nel soffio del vento, tra le sagome ed i colori sfumati delle nostre mani intrecciate.
Qui non c’ero mai stata, ma conoscevo ogni singola sfumatura di questa casa. Sapevo del portone blu, della terra rossa e appiccicosa, sapevo del riso coi sassi, dei piedi scalzi.
Ho riconosciuto ogni cosa al primo sguardo. Ce l’avevo nella testa: una casa fatta di racconti, di parole, di immagini colorate, delle impronte e degli occhi di chi è stato qui prima di me. Nella mia testa esistevi già, una città invisibile che cambiava e mutava forma in ogni storia, ogni pensiero ed ogni sogno. Ed eri bellissima anche solo quando eri una cosa solo pensata e lo sei ancora di più ogni volta che ti riscopro qui. E ti ho aspettata tanto, ed adesso sei qui.
Allora scrivo a te che ti sorride il viso, a te che hai le tasche piene di sassi. Ti scrivo, perché non me ne frega niente se non sai parlare, ho visto nei tuoi occhi neri il mondo intero urlare.
Vorrei raccontarti le fiabe che non hai mai ascoltato, ma mi manca la voce. Vorrei tenerti la mano per strada mentre vai a scuola, ma sono solamente un ospite di passaggio avaro dei tuoi sguardi.
Le ho viste sai, quelle bolle di sapone fluttuare trasportando i tuoi sogni. Ho visto il vento e la forza del tuo respiro spingerle sempre più su. Le ho viste distorcersi fino ad esplodere, tra mille schizzi bagnati e riflessi colorati. Soffiavi forte, e soffiavi via le tue ferite, le trasformavi in gioielli luminosi.
Ho visto i tuoi occhi pieni di sorpresa nell’istante esatto in cui hai capito. Hai capito che ciò che cercavi era sempre stato in te, in bella vista, ma celato allo sguardo indiscreto di chi non può capire.

E non posso dirti che tornerò, non posso dirti che ci sarò. Ma ti prometto che ricorderò ogni istante. Ti prometto che ricorderò la corsa sotto la pioggia, il suono dei tamburi, la palla sgonfia. Ricorderò le scarpe sporche di fango, le dita ferite. Ricorderò di noi stretti in un cerchio e la luce che se ne va, ricorderò l’oscurità improvvisa. Perché possiamo fare a meno di tutto. Perché l’essenziale siamo noi.

Lo vedi l’occhio del giorno che ci osserva? Lo vedi, che ci sfiora coi suoi raggi caldi e lentamente tramonta ancora?
E la strada qui è tremendamente bella, tremendamente viva, tremendamente sporca.

Quante volte te lo devo dire? Anche quando piangi sei meravigliosa.

Condividi su: