di Gabriella Ballarini

Mi capita spesso che alla domanda: ma secondo voi, la vostra opinione è importante?

I ragazzi e le ragazze della scuola superiore mi rispondano: no.

Questo no, io non lo digerisco mai.

Ogni volta, ogni no, io non lo mando giù.

L’ultima volta però è stato più difficile delle altre volte e allora ho reagito trasformando quel no in un sì e facendolo diventare un manifesto.

Il lavoro con gli adolescenti sui manifesti, è stato, credo, uno dei più potenti che io abbia mai fatto nella mia vita. 

Il manifesto è uno strumento molto potente perché ti permette di avere un confine dentro al quale urlare la tua idea, ma non urlarla perché devi essere per forza arrabbiata o in conflitto, urlare perché così la voce si sente meglio, va più lontano, si stacca da te e raggiunge gli altri, si stacca da te, ma non ti abbandona, viaggia nel mondo per raggiungere gli altri e gli altri possono, a quel punto, sapere come la pensi tu.

Dentro quello che pensiamo, c’è la persona che siamo, dentro la persona che siamo però ci sono anche pensieri che rimbombano ma non hanno la nostra voce, noi li canalizziamo e poi li buttiamo fuori, ma non sempre ci identificano, li ripetiamo, li copiamo, li facciamo risuonare, ma a volte quando li sentiamo detti da noi, ci sembrano così estranei che non possiamo più tirarli indietro, è tardi, ma sogniamo di non averli mai detti.

E insomma, il lavoro del manifesto, impedisce a chiunque di dire una cosa che non sia LA COSA CHE PENSO VERAMENTE perché lavora a strati.

Prima c’è l’elenco di tutto quello che vorrei dire al mondo.

Poi c’è il confronto con una persona del gruppo per raccontarle le mie idee.

Poi insieme scegliamo un’idea forte da poter raccontare al mondo.

Poi realizziamo dei piccoli oggetti d’arte da lasciare per il quartiere così le persone possono vedere la mia idea e, se hanno piacere, portarne a casa un pezzetto.

Poi c’è la mia voce, il messaggio alla città.

Nella mia città…

E questa scritta diventa un messaggio da scrivere gigantesco sul pavimento di un parchetto giochi di periferia.

Poi c’è il manifesto, da realizzare, enorme, che dica forte che io sono importante e questo è il mio pensiero.

E lì poi c’è la mostra dei manifesti e poi l’ascolto delle storie.

Insomma, un lavoro potente, come vi dicevo.

Dentro questo lavoro, hanno realizzato i propri manifesti anche educatrici ed educatori senza frontiere, perché unire le voci rende il mondo un posto di tutte e di tutti e succede che la città dica così:

Nella mia città tutti sono felici.

Nella mia città ogni persona abbraccia almeno una volta al giorno.

Nella mia città la musica è viva.

Nella mia città tutti mangiano.

Nella mia città c’è spazio per tutti.

Nella mia città l’amore è libero.

Nella mia città c’è tanto verde.

Nella mia città Basta pregiudizi!

Nella mia città nessuno rimane da solo.

Nella mia città sono tutti uguali.

Nella mia città la bellezza è la diversità.

Nella mia città non si lascia indietro nessuno.

Nella mia città sono tutti felici.

Nella mia città nessuno viene discriminato.

È un lavoro potente, vi avevo avvisato.

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