di Matteo Sciacca

“Quale vecchio noi è morto e quale sopravviverà al ritorno?”

Ho trovato queste parole in uno di quei bar rigonfi di persone che trovi sulla strada per Santiago. Inaspettato era il luogo dove trovarle, ed inaspettate quelle parole rimbalzano nella mia testa.

In effetti, a pensarci bene, quello che è capitato durante il viaggio è tutto tranne che atteso, tutto tranne che prevedibile.

Imprevedibili sono reazioni del nostro corpo al tanto camminare; imprevedibile è il nostro stato d’animo di fronte alla fine della giornata: se ci fanno male i piedi, se abbiamo le gambe distrutte dalla fatica, ci vorremo ancora bene? Riusciremo ancora a ritrovare la forza, la voglia di ricominciare? Avremo da ridire, invidieremo l’altro perché sta bene e non ha nessun problema?

Questo fa parte del cammino, fa parte della vita. Ma andare verso Santiago oltre a porti l’ordinario in maniera diversa, pone te stesso in maniera del tutto nuova. Sei in scoperta, e non lo sai; ascolti molto di più gli altri, la strada intorno, te stesso, e quasi non te ne rendi conto.
Non è spiegabile a parole quello che ci è capitato. Incontrare persone straordinarie, folli, che si prendono del tempo per spiegarti che la vita va oltre sé stessi, che bisogna avere sempre un cuore puro e sognare, che il cammino è quello che ti arriva ed è quello che ti serve. Incontrare persone che ti dicono in faccia “siete come la mia famiglia” dopo averti incontrato un paio di volte per strada.

Costruire un gruppo da zero, provare a capirsi, prendersi a spallate e arrabbiarsi, accettare di cambiare ritmo per non rimanere soli e aiutare l’altro, aiutarsi, anche solo farci compagnia cercando di condividere la vita a parole, ritrovandosi nelle frasi dell’altro, riderci su. Affrontarsi a muso duro, immalinconirsi, condividere la rabbia, risollevarsi.

Amarsi, amarsi nei propri guai, in chi ti sveglia di notte perché russa troppo e in chi ti fa invidia perché non ha nessun dolore mentre tu hai cerotti dappertutto e invochi il Santo che termini tutta questa sofferenza. Ricordarsi che se l’altro e stanco e tu no puoi fare la spesa per tutti, sbagliare e spendere troppo, o troppo poco: è il bello di vivere insieme, ricordarsi di cosa piace all’altro, dimenticarsene, fare errori e chiedere scusa, è prendersi cura.

Ascoltarsi e ascoltare, perché un bel giorno ti accorgi che non sei per niente solo e il tuo accelerare sulla strada o il tuo rallentare cambia le cose perché gli altri ci sono, e senza di te non sono la stessa cosa.

Scoprirsi e accettarsi perché in un modo o nell’altro arrivi da San Giacomo e, come tu sei, lui ti prende, ti abbraccia.

Prima di ritornare nelle nostre città quei personaggi che hanno popolato il cammino li abbiamo ritrovati tutti: viene da pensare che fossero li, agli angoli delle strade, in attesa del nostro arrivo. In mezzo a migliaia di persone, c’era un senso di stupore, di incredulità. Non avevamo ancora capito che il senso del cammino era proprio nell’incontro con gli altri.

Tolto tutto, tolto lo zaino dalle spalle, rimesse a posto le scarpe benedette o maledette, è il dono che ci resta.

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