di Caterina Viscanti

Un viaggio infinito mi ha portata lontano, ed un semplice sorriso mi fa fatto risentire a casa. Io per loro una semplice “wahaza”. Loro per me gocce di felicità.

Ambalakilonga, ad un emisfero di distanza, un luogo differente, ma una magia pervade questo luogo, forse rilasciata dalle bouganville, o forse semplicemente la magia di chi ha lasciato le proprie impronte, come gli educatori, i volontari, e i ragazzi che ti chiamano “mpanabe”. Conseguenza della condivisione, del gioco, del ritmo, come pezzi di puzzle diversi che si limano per incastrarsi perfettamente. Rimanere sé stessi anche essendo differenti, senza che ci si imiti, senza che ci si limiti.

Abiti colorati e fantasiosi, pesi in testa, tetti rossi, risaie perfettamente squadrate, zebù al mercato. Tempo che corre, ma senza scarpe. Timorosi di distruggere quella magia, siamo entrati in punta di piedi nel vivo della loro vita. Ma perché entrare nella loro vita? Qual era il nostro scopo in quella terra?

A fine giornata davanti ad un thè ci si confrontava su questa riflessione. Eravamo in una terra straniera per donare strumenti sconosciuti ai loro occhi; eravamo in una terra straniera per mostrare che durante una partita di basket, facendo gioco di squadra, si raggiungevano risultati migliori anziché essere tutti l’uno contro l’altro. Davanti a loro non c’era solo Caterina, c’erano Caterina, Simone, Chiara , Lucia, Francesca, Fiorella e Marcello. Da soli eravamo stranieri sperduti, insieme eravamo un’esperienza, per loro e per noi.

La nostra presenza ha iniziato ad avere senso con il tempo che ci siamo dedicati l’un l’altro. La capacità di essere felici si rivedeva in ogni attività. Non è mai stato così semplice nel luogo dove sono nata e scresciuta. Qui è differente, come se non avessi bisogno di nient’altro per sentirmi parte di qualcosa. L’arte circense è stato il primo linguaggio comune, e ci ha permesso di conoscerci ed entrare al contatto. Il teatro ci fatto prendere confidenza con il nostro corpo. Il gioco ha fatto sì che superassimo la semplice attività di volontariato. Il ballo e il canto ci hanno fatto sentire parte della loro cultura.

È buffo, apparentemente si potrebbe pensare che quei ragazzi non avessero nulla da offrirti, eppure quei loro occhi sognanti e sorrisi dolci hanno potuto conquistarci. Ci hanno permesso di comprendere che se non li avessimo conosciuti la nostra vita sarebbe stata diversa, e non avremmo avuto la consapevolezza che in quella parte di mondo, dove la fame diventa turismo, non c’è nient’altro che umanità.

Due lingue e due culture diverse, che si incontrano e si scontrano, ma l’umanità è unica. In questa casa, per comprendersi, non resta che guardarsi, sorridere e ballare.

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