di Lucia Magni

“Ora chiudete gli occhi, fate un bel respiro, apriteli ed uscite. Iniziate a camminare intorno ad Ambalakilonga. Concentratevi su quello che i vostri sensi percepiscono: Com’è l’aria? Che profumi sentite? Quale sensazione prova la vostra pelle? Quale suono vi attraversa?”

Esco e inizio a camminare con le mani nelle tasche della giacca, provo ad accogliere quello che arriva…

Sono partita senza aspettative, ho messo in valigia un barattolo di nutella, qualche vestito e tantissima voglia di accogliere e lasciarmi attraversare, senza farmi troppe domande.

Arrivata all’aeroporto eccoci qui, noi sette, da ogni angolo d’ Italia, storie diverse ma tante cose in comune: una, tra tutte, la voglia di riscoprirci attraverso questo viaggio.

Sonni profondi sulla moquette dell’aeroporto, partite a “uno”, qualche pagina di un buon libro, tre voli e due scali dopo eccoci a Tanà.

Il viaggio dalla capitale ad Ambalakilonga ci regala frammenti di una terra profondamente diversa dalla nostra, fatta di colori accesi, nuvole vicine, sorrisi generosi e mani che si allungano e si intrecciano.

Respiro profondamente, sento la pancia che si aggroviglia, provo emozioni contrastanti e cerco parole che non trovo. La porta del pullmino si apre e le parole arrivano calde da fuori: “Tonga soa Ambalakilonga”.

I ragazzi, Cristina e Bianca ci accolgono con il loro sorriso più bello.

La mattina con i ragazzi di Human: scopriamo come essere degli educatori creativi.

Il pomeriggio facciamo un grande cerchio e iniziamo a costruire uno spettacolo di clown! Palline, nasi rossi e piatti: le ore trascorrono così, spensierate e faticose allo stesso tempo.

È l’ora del debutto: tutti in fila dietro le quinte e si entra in scena: prima al Don Bosco e poi alla Maison Magone, i bambini restano affascianti dal nostro spettacolo e iniziamo a giocare tutti insieme: “c’è qualcosa di più magico?” penso dentro di me.

Mi giro e guardo il gruppo: ci incastriamo alla perfezione.

Guardo in basso: la terra rossa è attaccata alle mie scarpe e lì, proprio in quel momento, realizzo che non se ne sarebbe andata più via.

Sono felice, felice come raramente lo sono stata. Tutto è in equilibrio, un equilibrio sospeso.

Tolgo le mani dalle tasche, apro la porta della cappella ed entro: la melodia delicata e intonata del padre nostro mi rimbomba dentro.

Le scarpe stese sul balcone dei ragazzi, i fili d’erba e le foglie che si chiudono se le sfiori.

Quando ero piccola capivo che eravamo arrivati al mare quando vedevo la bouganville di casa dei nonni: “eccomi nel mio posto”, pensavo.

Fuxia e maestosa, è stata la prima ad accogliermi in questa nuova casa.

Rimango ferma e lascio che tutto questo continui a succedere, a scorrere e ad abitare questo posto, un posto in cui chiedi permesso prima di entrare e, senza accorgertene, è lui che è entrato dentro di te.

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