Scritto da Diana Fortini

Quand’è stata quella volta che partire ti è sembrato un po’ come tornare a casa?

Chiudo gli occhi e mi sembra una magia…

Ritorno alle facce stanche e l’arrivo in tenda, gli sguardi timorosi e curiosi,

camminare nel buio, addormentarsi tra la paura e la bellezza dei rumori del bosco.

La giornata inizia a raccontarci i rituali della Mammoletta, la raccolta di frutta e verdura nell’orto, lo svegliarsi a vicenda, le moke giganti e le tazze ad aspettarci sulla lunga tavolata in salone.

Ed ecco che inizia il primo giorno: si entra nel cerchio e in modo silenzioso, iniziamo a conoscerci, a fidarci degli occhi, a guidarci senza parlare.

Il mondo intorno, piano piano, inizia a scomparire; come se oltre il mare non ci fosse più nulla.

E la vita diventa semplice, fatta di un momento alla volta.

È camminare scalzi, cucinare insieme, lavare i piatti cantando e ballando come fosse una festa.

È aspettare il “buon appetito”, per iniziare a mangiare tutti insieme.

È la doccia fresca, e le formiche tutte in fila sui panni stesi al sole su una corda.

È il raccogliersi, il sostenersi e il sollevarsi, un intreccio di mani, incroci di sorrisi.

È nascondersi a guardare le stelle a fine serata, per trovare un momento per noi.

È camminare bendati, è percepire i piccoli movimenti, farsi guidare dai rumori, è ascoltare con la pelle , sentire la terra sotto i piedi, è scoprire la bellezza di perdersi, è trovare mani ad accoglierti.

È lo spazio che c’è per la tristezza e i momenti no. 

Un tempo dilatato, a volta troppo breve per aprirsi all’imprevedibile, per ritrovarsi a reimparare la fiducia.
Impariamo ad esserci, a fare spazio, ad aspettarci.
Mi sono vista scomoda a camminare su strade non mie e poi, alzato lo sguardo, scopro di poter sperimentarmi nel vivere il percorso come l’altro sente di andare.
A poco a poco, ci si regala pezzetti delle nostre storie e si scovano passioni, ci si racconta di una difficoltà, ci si abbraccia di sorpresa.


È come ritrovare un frammento di se stessi, in ognuno.
“A un passo da domani, a un passo ormai da te.”

Che cosa rende umani, se non un limite?
E qui, disegnando i nostri limiti, le nostre strade che si intrecciano in labirinti, iniziamo a trovarci e a ritrovarci scambiandoci percorsi, incastrando mosaici di storie e sogni, verso un futuro in cui stare bene.
Voglio ancora imparare a seminare bellezza, seminare per aprire crepe.
A rimanere nell’ombra e poi lasciarmi sorprendere dai germogli che credevamo impossibili.

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