di Vincenza Bonavoglia

“U fridd ‘nguoll” è un’espressione tipica del mio dialetto, il dialetto di un paese in provincia di Salerno: letteralmente vuol dire “il freddo addosso” e viene usato per descrivere qualcosa che ti fa’ venire i brividi, la pelle d’oca, nel bene e nel male. È stata un’espressione che mi è “scappata” una delle prime sere attorno al tavolo seduta con i miei compagni di viaggio e da quel momento è stato un po’ il tormentone, il motto col quale gli altri mi identificavano con simpatia.

Ma, pensandoci, credo che possa descrivere proprio bene ed in maniera sintetica ciò che ho vissuto nel mio mese in Madagascar, ad Ambalakilonga. Tante cose che ho visto e vissuto mi hanno fatto venire “u fridd ‘nguoll”: i meravigliosi paesaggi che mi circondavano, con colori che passavano dal tenue all’acceso, fino poi ad arrivare al buio della notte che però riusciva a mostrarti tutta la bellezza delle stelle; il mio momento preferito della giornata, il tramonto, quando i colori caldi e soffusi si mischiavano a quell’aria lenta, quasi ferma che riuscivi a respirare e che ti suggeriva che la giornata stava finendo e che ti era concesso di fermarti ad ammirare tutto ciò e a ringraziare per la giornata vissuta; i momenti di quotidianità vissuti con i ragazzi della comunità, a pranzo, al ritorno da scuola, ad aspettare l’ora di cena, magari al buio perché la corrente era saltata: piccoli momenti, scambi di vita con una comunicazione italo/malgascia non sempre efficace ma sicuramente autentica.

“U fridd ‘nguoll” provato durante le attività nel carcere minorile, con questi occhi apparentemente uguali ma che nascondevano ciascuno un mondo diverso, che continuavano a chiederti “a crayon madame” come se fosse la cosa più preziosa del mondo; “u fridd ‘nguoll” nelle attività di formazione con i ragazzi di “Human”, la scuola per educatori, così attenti, così curiosi, così grati per tutto ciò che tu, nel tuo piccolo, stavi mettendo a disposizione, per il servizio offerto; “u fridd ‘nguoll” con i bambini della Maternelle che puntuali, ogni mattina, varcavano la soglia di Ambalakilonga ed al grido di SAAALAAAAMAAAABIOOOO erano pronti a giocare, ad osservare, a riempirti di abbracci e di mocciolo anche se era la prima volta che ti vedevano. I brividi di serenità e complicità provati con i miei compagni di viaggio, sette persone completamente diverse da me ma che con me sono riuscite a creare un’armonia perfetta, perché non contavano le differenze, ma l’obiettivo del nostro essere lì, del nostro pezzo di cammino insieme, che era lo stesso per tutti e che ci ha permesso di andare oltre quelle differenze, di prenderci cura l’uno dell’altro e ciascuno a suo modo, di accogliere le fragilità di tutti e di non lasciare nessuno indietro sulla strada mai, nemmeno i più lenti come me.

“U fridd ‘nguoll” di quella mattina in cui ci siamo alzate presto per fare corvè. Alle quattro del mattino il freddo non era solo metaforico, ma anche reale, ed arrivare in cucina col fuoco acceso è stata una piacevole coccola. Preparare la colazione agli altri, svegliandosi un’ora prima, è un atto di sacrificio, di cura, di amore ed è stato intenso e bellissimo poterlo condividere con i ragazzi, nonostante il freddo, nonostante il sonno. Il grosso del lavoro consisteva nel setacciare il riso prima di cuocerlo, togliendo a mano, ad uno ad uno, i sassi che come camaleonti si camuffavano nel riso.

E ricordo perfettamente che, mentre toglievo i sassi accanto ad un Tinò ancora addormentato, ho pensato che come educatrice avrei voluto fare esattamente la stessa cosa con la vita di questi ragazzi: togliere ad uno ad uno i tanti, troppi sassi che avevano già trovato sul loro cammino ed accompagnarli nei loro sogni e nelle loro aspirazioni, portando nel mio zaino tutti i sassi tolti per loro.

Ma poi, quando ci siamo seduti per la colazione, mangiando il riso cotto e setacciato, alcuni sassi si sono fatti sentire con tutta la loro durezza sotto i denti, sassi magari troppo piccoli per essere visti durante il setaccio o semplicemente sassi che erano sfuggiti all’occhio.

E lì ho pensato, ancora una volta, a come spesso la vita trovi dei modi tutti suoi e particolari per ridimensionare i tuoi pensieri e farti avere una visione più ampia delle cose: come educatrice non posso togliere i sassi dal cammino degli altri, né portare pesi che non potrei reggere, ma camminare sempre accanto quello sì, posso farlo.

E superare i sassi insieme, magari raccogliendone qualcuno che, chissà, non ci venga in mente di costruire qualcosa.

Condividi su: