Di Martina Mattia Pulejo

“È rimasto aggrappato alla convinzione che la vita non sia una mera sequela di insignificanti incidenti o coincidenze, ma piuttosto una trama di eventi culminanti in un piano squisito e sublime”. Così Dean parla del suo amico John, il protagonista di Serendipity durante un caldo martedì di luglio nel salotto della comunità Exodus. Mentre cercavamo di rinfrescarci con un ghiacciolo al limone tutti- volontari e ragazzi della comunità- speravamo che il destino facesse rincontrare i due protagonisti.

Secondo il dizionario Treccani, Serendipity significa “fare per caso inattese e felici scoperte” e, mentre sono in treno, penso a quanto questo termine sia stato ricorrente questa settimana durante il campus “vacanze in città” rivolto ai bambini della metropoli.

Mentre gioco con G. (bambino di cinque anni con occhi molto vispi) a doubble, lui dice “carota” e mi mostra che ho quell’ortaggio, quindi la carta al centro spetta a me. In un mondo che ci dice che dobbiamo vincere per essere qualcuno, è disarmante come un gesto così semplice mi ricorda che vedere l’altro,  le sue immagine (se il doubble fosse la metafora della vita), senza rimanere focalizzato sulle proprie può essere molto più divertente e arricchente.

Andando a ritroso nei giorni, come se avessi una vecchia VHS, ripenso alla magia che abbiamo creato nel proporre le attività ai bambini: una semplice partita con pistole d’acqua diventa una sfida per  scongelare il cuore ghiacciato di un’algida regina delle nevi.

Non ci vogliono bacchette colorate o anni e anni di studi ad Hogwarts per creare tutto questo, ma bisogna fermarsi e curare i dettagli. Così uno spettacolo per i genitori diventa un momento fondamentale per sconfiggere il cattivo Giuliano che vuole rubare tutti i colori e l’esultanza di sentire al telegiornale che siamo riusciti a sconfiggerlo è impagabile. Un’altra felice scoperta è stato vedere come in così pochi giorni noi volontari, senza conoscerci prima, siamo riusciti a incastrare i nostri bordi creando un’armonia autentica, senza bisogno di mettersi a tavolino.

Mia figlia ieri si è svegliato alle 6:30 perché aveva paura che, a causa dello sciopero dei mezzi, non sarebbe riuscita a venire
Quando li devo svegliare per andare a scuola, devo iniziarli a chiamare mezz’ora prima, invece questa settimana si sono alzati subito”.
Comprendi così che non devi andare dall’altra parte del mondo per essere un ESF, ma puoi e devi esserlo anche qui, a pochi chilometri da casa.

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