di Barbara Corazza (servizio civile in Madagascar)

Cara Ambalakilonga,

ti volevo raccontare di quella volta che decisi di candidarmi per il servizio civile universale nel tuo paese d’origine: il Madagascar.

Era gennaio 2021. Pronta a posticipare l’esame di laurea quinquennale di un anno.

Gli eventi, alla fine, mi hanno riservato parecchie sorprese: ho concluso il percorso universitario “malaki laki” (dal malgascio “veloce veloce”) e poco dopo ho deciso di partecipare alla formazione di Educatori senza frontiere, l’associazione che ti gestisce da circa vent’anni, anche per avere più possibilità di partire.

Il 2021 è stato un anno pieno di viaggi in giro per tutt’Italia, con tappa fissa Milano, trovandosi la sede principale dell’associazione, e quest’ultima fonte inaspettata per la nascita di nuove relazioni personali e professionali.

E poi arriviamo a gennaio 2022, ancora più convinta di voler raggiungerti: per alcuni un salto nel vuoto, per altri un’avventura.

In realtà, ero parecchio consapevole della mia scelta, o meglio, di quello che mi sarei dovuta aspettare all’interno delle tue numerose mura di mattoni rossastri, oltrepassato il cancello blu e le palme del viaggiatore all’ingresso; un po’ meno, forse, rispetto a tutto ciò che ci sarebbe stato fuori.

Certo, non ho capito al cento per cento come sarebbe potuta procedere l’esperienza nella sua globalità, prima del tempo, perché una cosa è immaginare una situazione, un’altra è viverla in loco.

I tantissimi racconti degli Educatori senza frontiere così come quanto letto e visto online mi sono stati d’aiuto, ma sono risultati insufficienti.

E poi, tutto ciò che concerne le relazioni umane, la vita comunitaria costante, era assai difficile da pianificare e pensare, essendo volente o nolente ancorata completamente alla quotidianità di allora.

Come ti hanno raccontato tante voci, ci sono stati momenti più spensierati e leggeri così come momenti più delicati e difficili da affrontare.

Cos’altro posso raccontarti?

Penso che in te stessa possieda della “magia”, perché riesci a offrire quanto più tu creda. Non sei infatti alle prime armi, lo sai, ma tale caratteristica non è così scontata.

Con tanta forza e impegno, immagino, di tante persone che hanno potuto viverti e costruirti giorno per giorno, sei divenuta un luogo sicuro per tanti piccoli e grandi, ancora di più, una casa.

Una casa fisica ed emotiva. Un luogo di cura, crescita, lentezza, sostegno, dello stare insieme; quest’ultimo aspetto non facile, portando ognuno con sé un proprio vissuto, personali bisogni da ascoltare e accogliere (per quanto possibile), pensieri ed emozioni non sempre di immediata condivisione. Nonostante ciò, “mora mora” (dal malgascio “piano piano” e si legge “mura mura”) e con semplicità sei entrata nella testa e negli animi della gente che ti ha conosciuta in tutti questi anni.

In questi mesi che verranno continuerò a osservarti, ascoltarti, prendermi cura dei tuoi tempi e dei tuoi spazi, per conoscerti sempre più. Per quanto mi riguarda, credo che tu contenga tutte le potenzialità necessarie per far evolvere, portare un cambiamento nella vita di tante persone che ti cercano, anche se tale compito non è sempre facile, trovandoti in un contesto molto precario.

Dopo tre mesi di convivenza, ti auguro di continuare a muoverti, di non fermarti di fronte alle numerose difficoltà giornaliere. Ti auguro, ma anche mi auguro fortemente, che tu possa continuare a perpetuare la tua “magia” e donarci tanta energia positiva.

Non solo: infondi speranza a chi l’ha smarrita, dai amore a chi ha faticato a incontrarlo sinora, costruisci relazioni tra le anime, apriti e accogli le insicurezze e paure di tutti noi.

Alefa (dal malgascio “forza”), campionessa! Sorridi che noi ti sorridiamo.

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