di David Perfetti

Il re della Città delle Cose Reali mi disse che Felgrai si poteva raggiungere solo attraverso le nuvole, senza aggiungere nient’altro.

Con fiducia e rispetto mi misi in volo, sulla mongolfiera donatami, seguendo le correnti del caldo libeccio, tipico di quella stagione. Dopo tre giorni e tre notti intravidi da lontano, volgendo gli occhi in basso, un esteso territorio completamente circondato da altissime mura. Queste, non definivano solo i confini, ma tracciavano anche l’interno, andando a creare un intreccio di linee e incastri di diverse forme geometriche. Solo in quel momento capii il perché non ci sarebbe stato altro modo per accedere alla grande città di Felgrai.

Cominciai a diminuire il gas per avvicinarmi al suolo, scegliendo un grande slargo quadrato dove atterrare.

Ad attendermi, inaspettatamente, trovai cinque uomini che mi accolsero al suono di lunghe tube lucenti.

Subito, una volta a terra, mi indicarono di salire su un cavallo e ci mettemmo al trotto, costeggiando delle fredde e anonime mura. Non sentii voci intorno, gli stessi uomini, che guidano la fila, rimasero in silenzio.

Arrivati davanti ad un muro più alto degli altri, mi indicarono di attraversare una stretta e lunga apertura, protetta da una guardia dallo sguardo severo.

Per entrarci dovetti mettermi di lato perché l’uomo appoggiato allo stipite non si scansava, lasciandomi così ancor meno spazio libero.

Una volta all’interno scoprii un lunghissimo cortile con in fondo il sindaco che mi sussurrava il benvenuto.

Mi fece accomodare alla sua sinistra offrendomi una tazza d’infuso color grigio xanadu.

Sempre parlando sotto voce mi disse: – Ben arrivato a Felgrai, la città dei muri!  Ci sono voluti diversi anni per costruirli, ed ora ne siamo molto orgogliosi.

Prima non ne avevamo e ci sentivamo un po’ persi. Vedevo sotto il cielo, sempre la stessa gente… dovunque, centinaia o migliaia di milioni d’individui, tutti eguali, ignari dell’esistenza di altri individui, tenuti separati da mura di odio e di bugie, eppure quasi gli stessi[1].

Tutti i nostri abitanti sono timidi, soli, rinchiusi in sé stessi, inadeguati ai loro compiti, incapaci di essere felici, abitati dalla paura, come l’uomo nella parabola dei talenti, che erige muri intorno a sé stesso[2].

Un giorno, poi, di diversi anni fa, un saggio cinese, nostro ospite, mi fece notare che sono più numerosi gli uomini che costruiscono muri di quelli che costruiscono ponti[3]. Queste parole mi illuminarono e pensai…visto che già ognuno di noi ha costruito i suoi muri, isolandosi dagli altri, perché non costruirli realmente? E cosi che Felgrai divenne la città che ora vedi. –

Ascoltando la sua storia, mentre il mio sguardo si perdeva nel paesaggio intorno a me, un labirinto di siepi squadrate, con ai lati quattro grandi piante d’arancio piene di dorati frutti, e il mio spirito cominciava i suoi viaggi più lontani come quando il corpo è tra quattro muri[4]; pensai che la tristezza è come un muro tra due giardini[5].

Una volta terminata la tisana, riflettei che un muro è qualcosa davanti al quale non bisogna fermarsi e che il modo migliore per evitarlo è comportarsi come se questo non esistesse, avendo ben presente che esiste, ma non facendosi condizionare dalla sua presenza[6]. Ringraziai il sindaco per la sua gentile ospitalità e gli chiesi se era possibile passare la notte da lui e se domani al risveglio mi sarebbe stato possibile fare una passeggiata in libertà per la città, perché se si alza un muro, bisogna pur pensare a ciò che resta fuori![7]

La mattina seguente, mi svegliai molto presto, il sole non si vedeva ancora, le mura erano più alte di lui. Salutai il sindaco e mi misi in cammino.

Il mio sguardo si sentiva oppresso, non riusciva a vedere oltre, tutto nel circostante era rivestito da lastre di pietra liscissima e i miei passi non sapevano dove andare, ogni angolo era uguale all’altro e si sentivano persi. Anche io mi sentii totalmente disorientato, ma mi feci coraggio e prosegui a esplorare questo claustrofobico territorio. Avevo la sensazione che la distanza più breve fra due punti sarebbe stata al di là di un muro[8].

Ad un certo punto, mentre ero seduto a terra, intento a disegnare una prospettiva di linee sulla sabbia che ricopre queste strade, sentii un fischio lungo e vibrante. Alzai lo sguardo alla ricerca di qualcuno, fin quando vidi una piccola donnina che mi fece cenno di seguirla; finora non percepii mai nessuno lungo le varie vie percorse.

Quando la raggiunsi accelerò i suoi passi finché non ci trovammo in un vicolo cieco. Qui mi disse, anche lei sussurrando: – Ciao straniero! Qui normalmente non se ne vedono per strada e, al dir il vero, neanche noi usciamo mai oltre i muri. Viviamo sempre dall’altra parte, ognuno nei propri confini, ognuno con i propri pensieri. –  Sai – continuò, dopo aver controllato che nessuno ci avesse seguito – Vi sono muri con i quali si colloquia più proficuamente che con certe persone[9], anzi la maggior parte delle volte, a me piace parlare a un muro, è il solo oggetto al mondo che non mi contraddice[10]! –

Rimasi molto perplesso dalle sue parole e dalla sua serenità nel dirmele, poi allungò il braccio per indicarmi qualcosa sulla parete di fronte. Inizialmente non riuscii ad individuare niente e mentre ero con gli occhi ben aperti, ricercando qualcosa, continuò: – Ti ho portato qui perché volevo farti conoscere una cosa e chiederti un consiglio. La vedi quella lunga linea lì? È una lunga crepa che cresce giorno per giorno. Che io sappia nessuno ci ha mai fatto caso…secondo te sarebbe il caso di comunicarlo anche agli altri, oppure sarebbe meglio continuare a mantenere questo segreto? –

Rimasi in silenzio, ascoltandola, fino ad individuare ciò che mi aveva mostrato. Aveva una forma molto originale, in alcuni tratti prendeva anche delle forme curve, non come le consuete incrinature di una parete. Più la guardavo e più mi affascinava e d’impulso, sorprendendomi anche io stesso le dissi: – perché non fai altro che metterla in evidenza, decorandola, oppure più semplicemente ripassando il tracciato, lasciando così che siano gli altri, magari anche i più distratti, a scoprirla da soli? Ognuno di noi, dovrebbe scrivere sui muri, per le vie, le proprie sensazioni e impressioni, fra l’indifferenza o l’attenzione dei passanti[11].

Non feci in tempo a finire la frase che la signora si avvicinò al muro estraendo dalla tasca una matita rossa. Disegnò una grande freccia, poi si girò verso di me bisbigliando: – Cos’è disegnare? Non potrebbe essere l’atto di aprirsi un passaggio attraverso un muro di ferro invisibile che sembra trovarsi tra ciò che si sente e che si può[12]? – e infine aggiunse la scritta fragile.

Leggendo quelle lettere ebbi un sussulto e dissi ad alta voce: – Felgrai è l’anagramma di fragile!!!!! –  La signora, mi venne accanto e guardando insieme i suoi segni rossi continuai: – Il futuro della vostra città e del suo popolo e nascosto dentro lo stesso nome. Tutti continuate a essere rinchiusi in voi stessi e vi ostinate a voler vivere tra strette mura, ma i sentimenti, i desideri, i vostri respiri, non si possono segregare. È la vostra energia vitale ad aver provocato questa lesione al muro. Vedrai, ne nasceranno delle altre, sempre che non ce ne siano già per la città. Ti consiglio di andarle a cercare, di mapparle, e di continuare a segnarle con la tua matita, in fondo un muro è fatto per essere disegnato e la vita è fatta per essere celebrata[13].

La signora mi abbracciò forte la gamba, era davvero molto piccola, e percependo questo suo gesto così spontaneo pensai che quando le braccia si allargano, i muri cadono[14].

Pochi istanti dopo con gli occhi lucidi per l’emozione mi disse: – Grazie mille per le tue parole, per aver scoperto l’origine e il futuro della nostra città, non so perché ma sentivo che un giorno, vicino o lontano ti avrei incontrato. Hai ragione, noi sempre concentrati su noi stessi senza pensare che dovremmo usare il futuro come motore che ci spinge avanti e non come un muro contro il quale sbattere[15]. –

– Ci terrei tanto invitarti a conoscere il mio popolo, ti andrebbe di seguirmi al di là del muro? –

mi disse subito dopo essersi asciugata le lacrime, – ma prima d’entrare vorrei chiederti un ultima cosa…potreste dirmi com’è un’alba? Qui i muri son talmente alti che riusciamo a vedere il sole solo quando si è totalmente elevato. –

Mi abbassai, ricambiando il suo abbraccio, la presi in braccio, dicendole dolcemente:

– Sai l’alba è una crepa, lungo la linea che unisce il cielo e la terra, che concede al sole di entrare, di liberare la sua luce rosata, di lasciarlo salire in alto, permettendogli così, ogni giorno, di percorrere il suo viaggio. –


[1] George Orwell, 1984, 1949

[2] Joseph Fort Newton, The One Great Church: Adventures of Faith, 1948

[3] Proverbio cinese

[4] Augusta Amiel-Lapeyre, Pensieri selvaggi, 1909

[5] Kahlil Gibran, Sabbia e spuma, 1926

[6] Orhan Pamuk

[7] Italo Calvino, Il barone rampante, 1957

[8] Arthur Bloch, Principio di Abrams

[9] Emilio Rega, Oltre le stelle, 1997

[10] Oscar Wilde, Il ventaglio di lady Windermere, 1892

[11] Aldo Palazzeschi, Spazzatura, 1915

[12] Vincent Van Gogh, lettera a Theo

[13] Keith Haring

[14] Andrea Gallo, intervista, Rai Tre, 2007

[15] Giorgio Nardone, Cambiare occhi toccare il cuore, 2007

Condividi su: