di Federica Franciosi

Quest’anno la mia esperienza di viaggio si è concretizzata con la “Summer School”. Il progetto, creato e sviluppato della Comunità di Sant’Egidio di Roma, si rivolge ai bambini in età compresa tra i 3 e i 12 anni della Comunità “Rom” del Campo di Castel Romano in Roma.

Il progetto ha due specifiche finalità: la prima è quella di dare una continuità didattica a questi bambini, la seconda è quella di curare la loro inclusione sociale, cioè dare loro un’opportunità di crescita e di riscatto sociale per non farli sentire ancora ultimi ed emarginati dalla società.

I bambini sono tutti uguali: gioiosi, festanti, caciaroni, con la propria personalità in erba, esuberanti….

Questi bambini non sono diversi, ma rispetto ai loro coetanei hanno un carattere già formato, una personalità già ben strutturata e più spiccata, probabilmente sviluppatasi precocemente per contrastare le difficoltà del loro contesto sociale, che ne ha poi ridotto e penalizzato il periodo dell’infanzia.

Per alcuni di essi mi è quasi sembrato di confrontarmi con degli adulti: adulti in corpi di bambino!

Sono bambini che hanno comunque bisogno di molto affetto e di gesti di gentilezza, attenzioni che a loro sono poco riservate.

Abbiamo imparando da subito il nome di ciascun bambino questo ci ha permesso di conoscerli e di farli sentire delle persone considerate e dar così loro un risalto sociale.

L’osservazione del loro comportamento, del tipo di rapporto che usavano tra di loro, gli atteggiamenti adottati, le dinamiche familiari, sono stati per me molto importanti e mi hanno aiutato a capire la loro personalità e questo mi ha permesso di interagire nel modo più appropriato con ciascun bambino.

Infatti, da un’iniziale momento di naturale diffidenza, a poco a poco si è instaurato un buon clima di fiducia reciproca: i bambini chi più, chi meno, hanno così imparato a fidarsi di noi, manifestando in ogni occasione la loro contentezza nel vederci e nel trascorrere la giornata con noi, esprimendo invece il loro disappunto al pomeriggio quando dovevano andare via per tornare a casa, al campo Rom, luogo ghettizzato e di emarginazione sociale.

Questi bambini hanno sviluppato la consapevolezza di occupare uno degli ultimi gradini della gerarchia sociale, sono coscienti di essere considerati degli emarginati sociali e di aver fin da piccoli una vita già segnata con un futuro senza alcuna ambizione, cosicché non si aspettano nessuna carezza, nessun segno di gentilezza o di affetto da parte dei Gegé (i non Rom). Sono bambini che esprimono rabbia, dolore, violenza verbale e a volte anche materiale perché solo così riescono a manifestare e gridare a tutti la loro esistenza.

La mia esperienza, invece, mi fa dire che si può creare un clima di fiducia reciproca e che a volte basta solo un gesto, una carezza, un bacio sulla guancia o un abbraccio per risolvere un eventuale litigio o solo per avere un minuto di attenzione.

Sono dei bambini e come tali anche loro hanno il diritto di sognare, di vivere una vita più che dignitosa e di avere le stesse possibilità e le stesse opportunità dei loro coetanei.

Molte sono state le emozioni, le sensazioni, gli stati d’animo che ho vissuto in quei giorni; trasmettere la complessità della realtà Rom anche a chi ti è molto vicino come familiari e amici, non è sempre facile perché gli stereotipi della nostra società sono tutti improntati sulla definizione massiva della popolazione Rom che considera loro dei “pochi di buono” e quindi soggetti da emarginare socialmente.

Quest’esperienza è stata per me molto importante, ho conosciuto realtà umane con le quali non ero mai venuta in contatto nel passato e delle quali ho fatto tesoro.

Operare con la Comunità di Sant’Egidio è stato poi molto stimolante e mi ha permesso di conoscere persone, volontari che trasmettono la loro voglia e il piacere di essere proprio là dove è necessario, per aiutare il prossimo.

Ora che è giunto il tempo di tornare, nel mio zaino metto certamente un bagaglio di esperienza in più che mi ha permesso di sviluppare e stringere nuove amicizie. Porto con me un senso di grande umanità, di amore e di rispetto nei confronti delle persone più bisognose che ho avuto modo di incontrare e conoscere.

Il mio bagaglio è costituito da tante piccole sensazioni positive: abbracci, carezze, sorrisi, consapevolezza, senso di appartenenza.

Il mio bagaglio si chiama SOLIDARIETÀ!!

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