di Annamaria Degennaro

È difficile raccontare, raccontarsi, dentro la testa, l’anima ed il cuore si mescola tutto insieme in un turbinio…scrivere vuol dire fare chiarezza e a volte la chiarezza può far paura.
Potrei provare a fare una lista delle cose che mi hanno colpito da quando sono qui: i colori e le strade appena scesa dall’aereo mi hanno riportato in Tunisia, il caos, la vita, gli sguardi e le camminate. Ci sono pezzi di vita per la strada che diventa un libro in cui poter leggere un Paese dove i confini tra il dentro ed il fuori sono completamente ridisegnati.
Cerco il sole ovunque vada, anche adesso mentre provo a scrivere all’orto grande, quello che è diventato il mio rifugio qui ad Ambalakilonga, seduta ai piedi di un banano.
Cerco sempre il sole perché voglio il sole dentro, quello che ti scalda e scaccia via i pensieri bui, ho sempre avuto paura del buio fin da bambina.
Vorrei poter non divagare e raccontare …
La mente divaga, si sintonizza su immagini diversissime tra loro che vanno più veloci della mano che scrive.
Quanto è difficile raccontarsi?O ancor più raccontare a chi non è qui e non può vedere con i suoi occhi, annusare con il suo naso, fantasticare con la sua mente mentre osserva questi scorci.
Provo a raccontare allora degli anfratti di vita di questi tre mesi di Madagascar … magari degli attimi, delle sensazioni, delle cose o persone che mi hanno colpita.

Proprio stamattina ascoltavo che la storia la fanno gli incontri e, a maggior ragione, i viaggi. Il viaggio è una condizione vitale , uno stato d’animo, puoi viaggiare stando nello stesso posto e puoi rimanere nello stesso posto viaggiando.
“Prova a raccontare di Madame Marguerite” mi ha detto Rosario poco fa quando gli stavo parlando del mio blocco verso la scrittura, della difficoltà di scrivere un articolo per raccontare il mio servizio civile in Madagascar.
Bene lo prendo come un esercizio di scrittura, un modo per focalizzare le mie attenzioni su una persona che fa parte degli incontri di questo viaggio.

Madame Marguerite è stata una delle nostre insegnanti di malgascio, la mia preferita. Forse un po’ mi ha ricordato mia nonna, per l’età, la forma fisica, perché è una donna d’altri tempi, mi piacevano i colori che portava addosso e mi piaceva il modo in cui si faceva portatrice della sulla lingua nell’insegnarla a noi…

…e poi alcune cose ti fanno sentire a casa, anche se sei dall’altra parte del mondo, può essere una canzone, una carezza, un abbraccio, un gesto, uno sguardo, vedere altre persone intorno a te che sono a casa, persone che magari una casa non ce l’hanno o non ce l’hanno mai avuta ma che se la sono costruiti circondandosi di umanità. In questo momento poi quello che mi ha fatto sorridere è stato girarmi e vedere Ludovica che andava a tagliare l’insalata seguita da Freddy.
Odorare l’ammorbidente di mamma ancora conservatosi nel profumo di un maglione che non avevo ancora indossato è casa.
Riconoscere che mi piace compiere alcuni gesti che mi ricordano mia madre, pulire e ordinare come fa lei e come mi ha insegnato a far lei, dopo essermi ritrovata più volte a dirle che non mi piaceva, è un ricongiungermi a casa.
In questo momento in cielo ci sono insieme la luna ed il sole, uno che cala e l’altra che sorge. Che fortuna poterli vedere tutti e due che fanno parte dello stesso giorno, come passato e presente fanno parte della stessa vita.
Ma stavo provando a raccontare …
Le persone camminano per strada creando un movimento che sembra non fermarsi, le strade sembrano fiumi colorati di gente che avanza. Qui sembra che tutti vadano sempre da qualche parte ma con un’andatura che non trasmette lo stress e la frenesia che a volte da noi sembrano rendere tutti pazzi …
Per strada non ti senti solo e di certo non passi inosservato per il colore della tua pelle e per i vestiti che indossi, che tu voglia o no rappresenti la parte del mondo più ricca, quella che detiene il potere, puoi passare ore ad interrogarti su come toglierti questo marchio che sembri portare addosso.
Una delle cose che mi fanno sentire nella mia dimensione, chez moi, è lo stare nel “Grande Sud” come si intitola una canzone di Eugenio Bennato.
I sorrisi, la confusione, il tempo dilatato, la lentezza che culla il suo scandire … un ricongiungimento con il passato e con le storie raccontate dai miei nonni.
Questa è un’altra cosa che ti può accadere quando viaggi, che le distanze fisiche accorcino quelle temporali. Mentre guardo i ragazzini che portano a spasso gli zebù mi ricordo i racconti di mia madre che da bambina aveva paura quando incontrava per le strade del paesino un toro portato a spasso da un uomo a volte alticcio.
Mi ricordo di mia nonna che ci raccontava delle sue passeggiate per andare a prendere il latte con la sua asina a cui aveva dato il nome Teresinella. Mi ricordo di mio nonno ogni volta che incrocio lo sguardo di un signore anziano dal portamento elegante. Uno sguardo dal fascino unico perché nella profondità di quegli occhi c’è il racconto di una vita.
Mentre sto qui a scrivere, ascolto i suoni che musicano questo paesaggio e penso a mio fratello e alla sua passione per la natura.
Quando vedo lavorare il ferro per strada penso a mio padre, alla sua arte di fabbro e a quante cose non ho mai imparato da lui.
E così dopo che passi parte della tua vita ad allontanarti da casa o comunque dal posto in cui sei cresciuto ti ritrovi poi nel mezzo dell’Oceano Indiano su un’isola grande e dalla storia intrecciata, a riscoprire la bellezza dei ricordi della tua storia, o semplicemente sentire che poi ricordarti di casa ti fa un gran bene.
Le ginocchia mi fanno male perché sono restate nella stessa posizione da quando sono venuta qui all’orto e ho cominciato a scrivere , comincio ad avere freddo perché nel frattempo il sole è tramontato e questo mio primo inverno estivo è ormai cominciato, ma io me ne starei ancora qui a far scorrere la penna desiderosa di lasciare che le introiezioni di tutte le immagini e le sensazioni non rimangano disperse nella mente.

Dall’orto alla camera, che forse con l’arrivo del freddo riuscirò a vivermi di più anche durante il giorno.
Il telo che ricopre il letto, comprato a Toulouse, usato a Nantes e a Napoli e portato qui è casa, la sciarpa comprata in Tunisa, il porta orecchini fatto da papà..
Sentire Freddy che è giù e chiede di me a Sara, entrare e sentire l’odore di capelli appena lavati che si mischia a quello della camera pulita stamattina.
Pezzi di nuova vita che si mescolano ai pezzi di vita che ti sei portata dentro.
Vielleilchet das ist Heimat.

Oceani di pensieri e parole, onde che portano avanti e indietro, movimenti che ricreano cicli statici, lingue che si incontrano e che generano nuove idee,
ricordi che formano spirali oniriche e reali.

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