di Valeria Carraro

Oggi vi racconto un viaggio, un viaggio fatto di passi, di sguardi scambiati, di collaborazione, di incontri e di amicizie. Vi racconto un viaggio di 8 ragazze, anzi 13, e di altrettanti zaini in spalla.

La sera del 30 luglio sono partita per Cavriana con Elisa, la mia compagna di viaggio. Abbiamo raggiunto la comunità Exodus “Casa di Beniamino” e il giorno seguente siamo partite per la carovana con otto ragazze, due educatrici e Valentina, una ragazza che ha concluso il suo percorso in comunità da due anni e che ci ha accompagnato come volontaria.

Da Gambassi è iniziato il nostro cammino sulla via Francigena e abbiamo attraversato a piedi alcuni luoghi della Toscana, con i suoi magnifici paesaggi, fino ad arrivare a Viterbo.

Camminare è un’operazione semplice e complicata allo stesso tempo. È una delle azioni più naturali che il nostro corpo svolge quotidianamente ma nel momento in cui camminare diventa la ragione stessa dell’andare, allora comincia un viaggio diverso, nelle profondità di noi stessi, alla ricerca di risposte a domande che nel traffico della quotidianità non abbiamo tempo né voglia di porci.

Ed è così che un cammino diventa cosa ben diversa da una passeggiata e una carovana, per le ragazze della comunità, non è “solo” un cammino a tappe. In carovana alle ragazze viene chiesto di camminare in salita, in discesa, sotto il sole o nel bosco, in gruppo o da sole nel loro silenzio.

È stato chiesto loro di presentarsi, di scrivere e leggere ad alta voce qualcosa di sé. Abbiamo chiesto loro di rappresentarsi, di raccontarsi attraverso fili colorati, scarti di vario materiale e bastoncini di ghiaccioli.

Infine abbiamo chiesto loro di fidarsi. Questa era la cosa che più mi spaventava e avevo ragione. Come posso io, ultima arrivata, entrata nelle vite di queste ragazze senza chiedere permesso, chiedere loro di fidarsi? Loro che fidarsi di qualcuno è stato l’errore più grande che abbiano mai fatto, come possono essere disposte a farlo ancora? Eppure ne hanno un forte desiderio, nascosto tra qualche imprecazione di troppo e una postura un po’ da dure. Si legge nei loro occhi una forte sete di fiducia, di affetto e di relazioni sincere. Da questo presupposto è nato il nostro desiderio di introdurre attraverso un’attività il tema della fiducia, chiedendo alle ragazze di fidarsi delle loro compagne di percorso, di farsi trasportare, lasciare che qualcuno si prendesse cura di loro e del loro corpo in un luogo sconosciuto.

È venuto tutto così naturale da creare un momento intenso, emozionante e indimenticabile. Ho visto ragazze lasciarsi trasportare, tra le braccia delle loro compagne, da una musica che non avrebbero mai scelto, ma che in quel momento era la musica perfetta, quella che calzava loro a pennello. Le ho viste sorridere e divertirsi camminando ad occhi chiusi tra gli alberi di un bosco, ricordandosi che profumo avessero le foglie o quanto fosse fresca la terra. Ho visto alcune ragazze fare tanta fatica a lasciarsi guidare da qualcuno, avere paura di farlo, ma farlo comunque con entusiasmo. Le ho viste abbracciarsi ed emozionarsi, rischiare di scivolare facendo una stradina scomoda, ma ne valeva la pena per raccogliere e annusare quel fiore bellissimo.

Quello della fiducia è un tema su cui mi sono ritrovata a riflettere molto durante questa esperienza e il momento che ho descritto sopra è uno dei più intensi che porterò a casa.

Strettamente connesso alla fiducia c’è il tema della testimonianza, di quanto sia importante in un contesto difficile come quello della comunità, la parola di qualcuno che ti può dire “se ce l’ho fatta io ce la puoi fare anche tu”. La figura di Valentina è stata fondamentale in questo senso, per tutte le ragazze. Spesso nel nostro lavoro dimentichiamo quanto i nostri ragazzi ci percepiscano lontani e anche se rappresentiamo per loro un esempio positivo, spesso quell’esempio sembra comunque difficile da raggiungere. Il “testimone” invece parla la loro lingua, si può permettere di dire alcune cose su un altro piano e dal loro punto di vista, senza essere guardato con sospetto. Di quella persona loro sentono di potersi fidare un po’ di più, sentono di poter essere capiti. Le parole di Valentina forse erano le stesse che avrebbero usato gli operatori, ma avevano una consistenza diversa.

Durante le nostre formazioni ESF parliamo tanto di testimonianza, di quando questa sia fatta non solo di parole, ma anche, e soprattutto, di chi e come si è al di fuori di un determinato contesto. Essere testimonianza significa essere e mostrarsi per come si è, diventando possibilità per chi è intorno a noi. Siamo tutti testimonianza di qualcosa, dobbiamo solo scegliere di cosa.

Non so se in queste poche righe io abbia veramente raccontato il mio viaggio, come avevo premesso all’inizio. Forse ho solo disegnato con le parole delle immagini che ho bene impresse nella mente e nel cuore. Non so neanche se queste righe le ho scritte per voi o per me, per rimettere insieme i pezzi, per dirmi cosa io mi sia portata a casa da questi dieci giorni stupendi.

Il mio bagaglio è sicuramente molto più pieno di quando sono partita e contiene tante emozioni, parole dette e non dette, passi fatti insieme e da sola, abbracci, mani che si incontrano per camminare insieme o anche solo per farsi un tuffo in piscina. Mi porto a casa tanti sguardi diversi e tanta bellezza.

Mi porto a casa un bellissimo ricordo di ognuna delle persone conosciute e tanta speranza e fiducia nelle ragazze che stanno affrontando il percorso in comunità. Ognuna di loro è una forza della natura, deve solo scoprirlo.

L’augurio è sempre lo stesso: la strada è lunga, ma il panorama è bellissimo.

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