In questi  mesi si parla e si discute molto delle questioni economiche, dei cambiamenti che introducono nel nostro modello di vita. La situazione è veramente grave e preoccupante soprattutto per quanto riguarda il lavoro, la tenuta dei modelli di protezione sociale e il futuro. Bisogna essere vigili e attenti. Nello stesso tempo dobbiamo anche avere il coraggio di volgere lo sguardo su altri e altrettanto profondi cambiamenti che attraversano le nostra società e le persone che ci vivono. La nostra attenzione alle persone non può concentrarsi sulle importanti questioni economiche: dobbiamo scavare nel profondo .
Ho sempre più l’impressione che si sia immersi in un profondo cambiamento culturale, antropologico o di visione.
All’inizio del secolo scorso , la maggior parte delle persone viveva della terra e del lavoro agricolo e questo determinava un modi di pensare il mondo, le relazioni, i rapporti di potere e la stessa vita religiosa e famigliare, poi è venuto il tempo delle fabbriche e dell’industrializzazione e di nuovo la società è cambiata in profondità. Oggi , nel 2011, viviamo un processo di cambiamento che possiamo senza ombra di dubbio definire una delle più grandi trasformazioni della storia.
Non viviamo più lo stesso mondo dei nostri padri e nonni, ne quello della nostra gioventù  e dell’età adulta. I processi in corso ci inquietano, molte volte non li comprendiamo e cerchiamo di situarli ricorrendo a forme arcaiche. Da qui il desiderio dell’antico, delle piccole patrie, dei confini e di ridisegnare identità statiche.
I giovani invece stanno, a mio parere, vivendo un’esperienza di vita nuova e profondamente diversa da quella che noi continuiamo ad avere nella mente, quasi vivessimo in mondi diversi.
Per oltre sessant’anni , cosa unica nella storia, abbiamo avuto la fortuna di non confrontarci direttamente con la guerra e pertanto con il dolore e la sofferenza che un evento di questo genere produceva nella coscienza collettiva, non abbiamo dovuto misurarci con la fame e la miseria che abbiamo relegato ai margini, abbiamo avuto case decenti, in pratica abbiamo mutato l’idea del dolore e della sofferenza. La medicina si è resa sempre più efficace e ci ha dato l’impressione che potessimo vincere la morte. La morale religiosa che ci aveva aiutato a dare un senso alla vita, alle relazioni a comprendere il dolore, alla sofferenza e al morire è venuta sempre più indebolendosi.
A pensarci bene , la stessa idea di corpo si è differenziata e gli adulti non sono in grado di definirne una visione complessiva e condivisa. La nascita era per noi un qualche cosa che manteneva aspetti di casualità, oggi  è programmata e conosciamo chi nasce prima che esso venga alla luce.
Mi chiedo come sia possibile parlare ai giovani o avanzare delle proposte educative se viviamo in due mondi diversi ? Questa è la domanda che mi tormenta.
Osservo con attenzione cercando di capire e decifrare i comportamenti dei ragazzi, degli adolescenti e dei giovani e mi sembra di avvertire che le loro espressioni e modi di essere siano sempre più formattati dai media e dalla rete, sembra che siano stati destrutturati o, per meglio dire, ri-articolati nella loro capacità di attenzione. Ogni giorno devono fare i conti con la riduzione del tempo di durata dell’immagine a pochi secondi e mettere in campo capacità reattive e percettive concentrate in decimi di secondo. Bisogna essere veloci, fare in fretta. I video giochi sono l’icona di questo modo di vivere e non è un caso che davanti ad essi le parole più pronunciate e ricorrenti siano: “ morto”, “sconfitto”, “abbattuto”.
Sono immersi nella virtualità e forse faticano a cogliere i confini tra il virtuale e il reale, non sanno cosa sia, concretamente, un vitello se non attraverso l’immagine che hanno visto sullo schermo. Si muovono nella rete con praticità estrema e senza imbarazzi, leggono , scrivono, vedono immagini , consultano Wikipedia e sono postati in Facebook . Gli stimoli al pensiero non vengono più dal libro, dal quaderno e dalla penna e forse nemmeno dagli insegnanti o dai genitori ma dall’immagine, da ciò che appare. Possono gestire e manipolare più informazioni nello stesso tempo, con telefonino e GPS hanno accorciato le distanze e reso tutto più prossimo, la rete li mette in contatto con ogni sapere e si ritrovano a vivere in  uno spazio che è sempre più senza confini, mentre noi continuiamo a vivere la prossimità misurandola con il metro.
Lui e lei non hanno più la mia idea del femminile e del maschile, le stesse speranze di vita, non percepiscono la realtà nel mio stesso modo, non viviamo lo stesso mondo naturale. Un nuovo modo di essere uomo si sta formando vicino a noi, benissimo.
Un pensatore francese osservando i loro modi di comunicare attraverso il telefonino e la velocità con cui usano i pollici, li ha definiti Pollicino e Pollicina.
Tutto può sembrare ai nostri occhi negativo, ma Pollicino e Pollicina sono diventati, più di noi, degli individui e vanno oltre le appartenenze che hanno segnato la nostra vita sociale, politica e religiosa. Credo che ci troviamo di fronte a un profondo cambiamento di mentalità, di forme di pensiero, di visione della vita e delle relazioni. Davanti e tra noi c’è un nuovo individuo – lo abbiamo notato anche nei fenomeni giovanili che hanno caratterizzato la “primavera araba” o le “rivolte” inglesi – che comunica e si mobilità con forme nuove e diverse da quelle che tradizionalmente  sono state usate.
Bisogna che si apra una riflessione soprattutto per chi persegue obiettivi educativi e formativi.
Avere la consapevolezza che siamo entrati all’interno di cambiamenti cognitivi decisivi che incideranno sui processi relazionali, richiede un adeguamento dei percorsi formativi e dell’educare. La prima cosa che occorre fare è quella di superare le visioni negative di quanto cambia solo perché non assimilabile alle nostre visioni, ma porci dentro il nuovo flusso che consenta di educare educandoci, come è nello stile di Educatori senza Frontiere.
Abbiamo la responsabilità di comprendere e analizzare i processi in corso, di mettere in discussione il culto delle tecnologie comunicative per riportarle al loro essere strumenti di servizio all’uomo, capaci di estendere e migliorare le conoscenze, le relazioni e gli incontri con altri. Le rete deve avvillupare il mondo per unificarlo e non per asservire l’umano.
Savino Pezzotta

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