di Vittorio Randone

2018. Infortunio alla coscia e strappo al fascio muscolare, fuori 132 giorni.

2019. Infortunio alla caviglia, fuori 96 giorni.

2020. Sempre la coscia, sempre il fascio muscolare, fuori 280 giorni.

2021. Va un po’ meglio, ma comunque fuori 24 giorni.

2022. Il solito, grazie, però ci aggiunga anche un ginocchio. Fuori 157 giorni.

2023. Inserire testo a piacimento. Fuori 89 giorni.

Ousmane Dembélé è considerato uno dei principali talenti calcistici della sua generazione: un attaccante dotato di una grande tecnica ma penalizzato da una carriera segnata dai continui infortuni che lo costringono fuori dal campo per la maggior parte del tempo. Esiste, tuttavia, una realtà parallela in cui il giovane francese gioca tutte le partite, senza saltarne neanche una. Tutti i giorni, a qualunque ora, Dembélé è lì, pronto a non deludere le aspettative dei suoi tifosi, collezionando una presenza dopo l’altra e segnando gol importantissimi. 

Ad Ambalakilonga c’è un calciobalilla a disposizione dei ragazzi della comunità. Nei momenti liberi attorno a quel tavolo 120×70 si raduna una folla che per un attimo ti sembra quasi di essere nel barrio La Boca, e invece sei lì a Fianarantsoa, nel centro-sud del Madagascar. Al netto di qualche piccola variante locale, si gioca come da tradizione: due contro due, non vale rullare e chi vince regna.

C’è qualcosa di profondamente diverso, però, tra il calciobalilla di Ambalakilonga e quello dello stabilimento “Da Mario” sul lungomare di Riccione. Per qualche motivo, infatti, nel primo caso le coppie di giocatori riescono ad alternarsi a ritmi così serrati da far sì che tutto lo stadio attorno possa farsi una partita prima di perdere l’entusiasmo. I bulli della riviera romagnola, quelli con lo speaker nello zainetto e le Heets sempre accese, dominatori del calciobalilla, invece, sono soltanto i personaggi di un racconto di paura. Ai ragazzi di Ambalakilonga quando c’è da giocare basta uno sguardo per trovare compagni e creare squadre equilibrate. È come se avessero scoperto che per giocare di più, in qualche modo devi giocare di meno. E che è proprio il movimento con cui ti allontani da quel calciobalilla che poi ti permetterà di tornarci. 

Non so quanto i ragazzi sarebbero d’accordo nel ritenere la loro una filosofia del distacco. Quello che so è che nel vederli giocare e nel giocare con loro ho provato la stessa ammirazione e lo stesso stupore con cui Tom Cruise, ne l’Ultimo Samurai, osservava la cultura giapponese tradizionale, durante la sua permanenza nel villaggio di Katsumoto.

Alla fine il “chi vince regna” si trasforma in un “facciamo a giro”.

Per noi volontari è stata la stessa cosa, dopo un mese in Madagascar è arrivato il tempo di andare via, di lasciare il posto a qualcun’altro. Si fa a giro e tutti si è di passaggio. Persino i ragazzi della comunità sanno che un giorno dovranno andare via, ma che quella continuerà a poter essere casa loro. Alcuni infatti tornano, per salutare, per dare una mano, per confrontarsi. Ambalakilonga è un cancello aperto, è un posto libero a tavola.

Ambalakilonga è proprio come quel calciobalilla: può essere di tutti proprio perché è di nessuno.

Condividi su: