di Barbara Corazza

Sveglia ore 5.30?

Solo quando vado a correre nel campetto della comunità.

Oramai l’orologio biologico ha preso il sopravvento e non ne vuole sapere di ritardare, sennonché di fronte ai momenti di acciacchi della gioventù collezionati in questi mesi.

Nel bagno per una veloce pulizia del viso consigliata da L., un’educatrice senza frontiere passata di qui ad agosto, e un vestirsi a cipolla per ogni evenienza climatica della giornata.

Faccio poi una colazione abbondante per iniziare bene la giornata e verso le 8 si inizia a lavorare: a volte singolarmente, altre con Roberto (collega del servizio civile) e tante altre insieme ai numerosi volontari di Esf di passaggio. In base al giorno settimanale ci si relaziona con diversi destinatari.

Solitamente in mattinata: il lunedì, il mercoledì e il venerdì ci sono i bambini e le bambine della scuola dell’infanzia “A.P.E.”. Si collabora a stretto contatto con le tre insegnanti e si impara imparando gli uni dagli altri, offrendo in sinergia ai giovanissimi destinatari tante e diverse attività nei vari campi esperienziali.

Ai primi di settembre 2022 sono rimasta realmente sorpresa di come le insegnanti potessero lavorare con dei numeri così grandi (una trentina e più di bambini e bambine per sezione circa). Certamente, i bambini e le bambine non hanno lo stesso temperamento di quelli presenti in Italia, ma l’attivismo, la disponibilità a nuovi incontri e la comunicazione efficace delle insegnanti si dimostrano essere vere e proprie carte vincenti nel loro lavoro quotidiano.

Il martedì, invece, si esce in città per svolgere alcune commissioni e servizi, utili a noi volontari e ai ragazzi della comunità. Altra opzione per il martedì e il giovedì si rivela il corso di italiano per le suore Getsemani, abitanti vicino a noi, nello specifico, nel quartiere di Ankofafa di Fianarantsoa.

Durante la settimana, inoltre, si entra più a stretto contatto con l’equipe educativa, che si riunisce una volta a settimana per discutere di alcune situazioni problematiche all’interno della comunità e accordarsi su alcune richieste espresse dai ragazzi stessi. Vi è anche un momento settimanale per svolgere un corso di informatica e di italiano con l’equipe educativa, indispensabile per poter compiere varie consegne lavorative ed entrare maggiormente a stretto contatto con gli educatori della comunità.

Ore 12.00 circa.

Un ragazzo suona la campana che si trova vicino al refettorio e alla cucina. Dopo aver preparato i tavoli (il riso non manca mai!), si inizia a mangiare insieme ai ragazzi della comunità, appena rientrati da scuola. Dopodiché, spesso, ci si riunisce nella cucina dei volontari per il caffè, ci si ferma per due chiacchiere, oppure, si va in camera per riposarsi un po’ o si esce fuori per sgranchirsi le gambe.

Alle 14.00 hanno inizio le attività pomeridiane.

Solitamente: il martedì e il venerdì ci si incammina per andare dalle giovani suore Cappuccine, di preciso, verso il quartiere di Talatamaty di Fianarantsoa.

Una vera scoperta anche loro. Mai visto ragazze così energiche e volitive, caratteristiche ben visibili sia durante le ore di italiano sia nelle numerose partite a basket.

Lunedì e venerdì, di solito, vi è un corso di italiano con i ragazzi di Human (unica scuola professionale per educatori in tutto il Madagascar) e, infine, il mercoledì si sta insieme ai ragazzi della comunità, nello specifico, organizzando e realizzando numerosi giochi all’aperto e in caso di mal tempo qualche gioco da tavolo o di fiducia.

Alcune volte la giornata si conclude andando all’orfanotrofio vicino alla comunità per aiutare le responsabili a dar da mangiare ai bambini e alle bambine, che vanno dai zero ai tre anni circa.

E arriviamo alle ore 18.30, momento in cui suona la campana della cappella della comunità.

È un momento di condivisione e di incontro con i ragazzi. Si canta il Padre Nostro in malgascio e ci si racconta come è andata la giornata, oltre ad ascoltare le varie richieste fatte agli educatori.

Come volontari si cena tutti insieme, mettendo ognuno a disposizione ciò che sa meglio fare, anche se una turnazione dei compiti è cosa assai gradita. Dopodiché, la serata può prendere diverse direzioni: ci si ferma sulle poltroncine di bambù per chiacchierare (oltre per accaparrarsi un po’ di Wi-Fi), si gioca a qualche gioco da tavolo demenziale, si guarda un film o ci si ritira come piccoli eremiti in stanza per leggere, ascoltare un po’ di musica e perché no, crollare velocemente in un sonno profondo.

Quanto descritto sopra in queste righe, è solo una minima parte di ciò che sto vivendo ad Ambalakilonga da sei mesi a questa parte.

Fanno eccezione, infatti, i sabati e le domeniche che si sono alternate tra numerose uscite fuoriporta con i diversi gruppi di volontari, così come in solitaria o in compagnia, e alcune attività con i ragazzi della comunità, ad esempio, gli allenamenti di calcio alle prime luci dell’alba.

Giunta a questo punto, vorrei concludere con un ringraziamento per le compagne e i compagni di viaggio, che hanno deciso di condividere un pezzetto della loro vita personale e professionale all’interno della comunità in questi mesi di servizio civile. Ciascuna persona, a suo modo, è stata preziosa e di esempio, innescando un cambiamento graduale o una piccola crescita personale.
Anche questo vuol dire “vivere un’esperienza di servizio civile”: essere consapevoli sempre più del proprio operato nei tanti e diversi contesti lavorativi così come del proprio modo di essere, sentire, pensare e fare in comunione con l’altro, non necessariamente, così diverso da me.
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