Durante il servizio civile lo scorso anno, il nostro educatore Lorenzo Bertoni, ha raccolto alcune storie, le abbiamo conservate in un cassetto, ma ora ci piacerebbe condividerle con voi.
Le storie sono ambientate in Honduras e sono raccontate da ragazzi ospiti della nostra Casa Juan Pablo II di El Paraiso.
Mi chiamo Francisco Rivera, ho 22 anni e sono nato a Tegucigalpa, la capitale dell’Honduras.
La mia infanzia, prima di conoscere la droga, è stata indimenticabile; sono cresciuto in fretta e raggiunta l’età della gioventù sapevo già distinguere il bene dal male. Avevo i mezzi per decidere quale cammino intraprendere ma sfortunatamente mi sono lasciato intrappolare dal mondo che mi circondava. In questa tappa della mia crescita ho conosciuto la droga e, un po’ alla volta, ha iniziato a risucchiarmi senza che potessi rendermene conto, portandomi a perdere la fiducia delle persone che mi volevano bene e, soprattutto, l’amore della mia famiglia. Queste e molte altre ragioni mi hanno hanno spinto ad iniziare un percorso di rinascita all’interno del centro di recupero Casa Juan Pablo II.
Ero praticamente all’inizio del mio programma (un programma completo dura otto mesi, ma può protrarsi per un periodo ben più lungo) quando sono venuto a conoscenza dell’inizio di alcuni progetti educativi; uno di questi consisteva nel partecipare ad una carovana di teatro. Questa possibilità mi ha richiamato l’attenzione, avendo già avuto due brevi esperienze con il teatro; la prima durante la scuola superiore e la seconda all’interno di un laboratorio di Arte e Cultura, un programma di sviluppo in Tegucigalpa; però mai mi ero focalizzato eccessivamente. Mi piaceva e mi piace perché, attraverso la recitazione, posso esprimere le mie emozioni.
Sapevo anche che da questa opportunità avrei potuto imparare molto, beneficiando degli insegnamenti che mi avrebbero trasmesso.
Per la prima volta mi sono potuto sperimentare nel recitare, con un copione ed un ruolo ben definito. Non è stato semplice. Il mio personaggio mi piaceva ma soprattutto mi motivava vedere il pubblico godere della mia performance. La relazione con il pubblico era molto importante per me, a maggior ragione perché ricoprivo il ruolo di presentatore che mi imponeva di superare le mie difficoltà ed interagire con gli spettatori cercando di non restare mai in silenzio. Con il passare degli spettacoli ho acquisito maggiore sicurezza e poco a poco è scomparsa la vergogna e l’ansia lasciando il posto al divertimento.
È stata un’avventura straordinaria, sapevo bene che ero in riabilitazione e che questa esperienza mi avrebbe aiutato a terminare con successo il mio programma. Negli ultimi mesi del programma questa esperienza mi ha aiutato a cercare delle soluzioni ai miei problemi, senza mai trascurarli.
Attraverso il teatro ho potuto sperimentare nuovamente emozioni che non provavo da tempo e ricordarmi del mio passato, della persona che ero prima, una persona impulsiva concentrata non sul “Giusto” ma sul “Facile”, che faceva le cose tanto per farle senza assumersi le responsabilità delle sue azioni.
Qui, in Casa Juan Pablo II, ho imparato a dare valore e a darmi valore come persona. Prima non lo facevo, perché la droga prendeva possesso della mia vita; la droga ti rende cieco, pensavo solo a come drogarmi, vivevo senza dar importanza alla vita. Tutto questo appartiene però al passato, perché grazie alle esperienze vissute nel centro, posso affermare di aver seppellito la mia parte negativa.
Prima di ogni spettacolo, mi travestivo con il mio personaggio, facendolo non per nascondere la mia identità, e nemmeno per fuggire dalla realtà, ma per dargli vita e senso; in questo modo il pubblico avrebbe conosciuto una parte di me che non avevo ancora mostrato.
Sapendo che il pubblico non conosceva la mia vera identità, era più facile recitare liberamente.
Questo può sembrare qualcosa di controverso: per sperimentarmi in qualcosa di straordinario ho dovuto travestirmi. Chi mi guardava ha avuto la possibilità di conoscermi per come sono realmente: un pagliaccio felice, che non ha bisogno di nulla se non della sua allegria per far ridere.
Il teatro mi ha aiutato a non essere frettoloso e a dimenticarmi di tutto ciò che di negativo aveva il mondo di cui ho fatto parte. Un po’ alla volta mi sono reso conto che il mio percorso stava procedendo bene e che si stava già avvicinando il giorno di chiusura del mio programma.
Oggi sono una persona libera dalle sofferenze della droga e dagli inganni che io da solo mi costruivo. Vivo a testa alta, con lo sguardo rivolto verso il futuro e quello che mi riserverà.
La prossima settimana terminerò il mio percorso e affronterò una nuova tappa della mia vita che mi sono guadagnato con sudore, volontà e ottimismo.
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