di Marta Sassi
“Di quante metafore ha bisogno una parola?”
Yui se lo domanda spesso da quando una data ha separato quella che era da quella che è: 30 marzo 2011. Quel giorno uno tsunami spazzò via il paese in cui abitava, inghiottì la madre e la figlia, e le sottrasse la gioia di essere al mondo. Se lo domanda ancora di più da quando, per caso, viene a conoscenza dell’esistenza di un immenso giardino, Bell Gardia, in mezzo al quale c’è una cabina telefonica con all’interno un telefono non collegato, il Telefono del Vento. Trasporta le voci nel vento, le voci di chi ha perso una persona, di chi è sopravvissuto a qualcuno che non ce l’ha fatta. Lì, ogni anno, convogliano migliaia di persone da tutto il Giappone, percorrono un lungo sentiero e alzano la cornetta per parlare con chi è nell’aldilà.
Anche Yui approda, un po’ per caso e con molta diffidenza in quel luogo e, senza rendersene conto, si ritroverà ad intraprendere una metamorfosi che la porterà a fare i conti ed accettare con la perdita e con la vita che continua ad andare avanti. Incontrerà un uomo, Takeshi, che le mostrerà quanto le cose pratiche servano a mettere in ordine e come attraverso piccoli e semplici gesti quotidiani si possa fare pace con la storia e con se stessi, imparare ad amare e ad amarsi ancora. SiYui e Takeshi si scaveranno dentro e, passo dopo passo, facendosi forza a vicenda, si aiuteranno a compiere un semplice ma difficilissimo gesto: alzare la cornetta del Telefono del Vento e parlare.
“Yui pensò che la cornetta, più che incanalare e guidare le voci verso un solo orecchio, avesse il compito di diffonderle in aria. Si domandò se quei morti richiamati alla vita di qua, in quella di là non si tenessero invece per mano, se non finissero per fare conoscenza tra loro, e per dare vita a storie che i vivi ignoravano completamente. Altrimenti come spiegare quella leggerezza? Lì la morte sembrava una bellissima cosa.”
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