di Serena Mazzilli

E’ ora di dormire, occorre riposare, domani si vola in Madagascar. Una partenza attesa quanto inaspettata.
Diventa importante capire le mie condizioni prima di mettermi in cammino, lasciare a casa ciò che è pesante e voluminoso, stando attenta a non caricare troppo le aspettative che in questo caso possono essere ingombranti, il bagaglio deve essere leggero, testa e cuore dovranno fare silenzio per poter cogliere appieno ciò che sarà.
Più sostanza che forma, più realtà che apparenza, più indispensabile che superfluo, più straordinarietà che ordinarietà. Mi porto in tasca delle parole chiave e lascio sul mio comodino quelle di casa: flessibilità, avventura, accoglienza, servizio, empatia e ascolto.

La valigia è pronta, speriamo arrivi a destinazione, sarebbe un gran casino se si perdesse per un altro continente. Nel marsupio un assegno circolare, così da potermi muovere, cambiare e perché no, scambiare. Vorrei che il mio volo non fosse quello di un boomerang che si lascia toccare solo da chi lo ha lanciato, ma volare come un frisbee spinto dal vento e accarezzato da tante dita diverse.
Parto con un grande desiderio di meraviglia, di stupore, di aprire qualche cerniera interna per far entrare un po’ di luce, un po’ di bene.

Il viaggio sarà lungo, quanto lo sono i miei pensieri, la strada per arrivare alla “ casa dei ragazzi ” sarà ricca di curve, di buche, quanto lo è il periodo che sto vivendo, le persone che vedrò dal finestrino cammineranno scalze, chissà se avranno una meta, un po’ come me che non conosco ciò che mi aspetta, ma voglio togliermi le scarpe per non fare rumore, per non sporcare, per sentire casa la terra su cui poggerò i miei piedi in questo mese.
Un cancello blu e una porticina dello stesso colore ci introdurrano nella nostra esperienza dove non tutto dovrà essere esibito, ma tutto dovrà essere raggiungibile, a portata di mano come quelle dei ragazzi di Ambalakilonga che si uniranno alle nostre e profumeranno di un benvenuto sincero, di sorrisi non di circostanza. Ci aspetteranno felici, ci faranno spazio! Mi sentirò così teneramente avvolta da fili invisibili che diventeranno legami, fili sottili come quelli dei gomitoli che useremo per conoscerci, aggrovigliati come i sassolini nel riso, tesi come le corde della chitarra con cui si riempiranno i momenti liberi di musica, ritmo e di un’ atmosfera densa di pace e allegria.

Cullata da questa accoglienza, dalla magia di quest’isola di speranza, dove potrò liberarmi da tutto ciò che non mi serve, dove potrò traslocare emozioni, sogni e pensieri, mi rendo conto fin da subito che perdermi sarà necessario, che questo viaggio sarà di non ritorno e che imparerò presto ad apprezzare le persone che in questa città mostrano i segni, le cicatrici, le fatiche, la povertà, il desiderio di un domani più giusto.
Imparerò a guardare le donne, i loro grembi, mi incanterò mentre le loro mani impastano la pasta della pizza e mi risveglierò quando mi chiederanno di fotografare i loro volti per restituire un po’ d’identità.
Mi chiederò quale sarà il futuro del bambino che ho tenuto tra le braccia e pregherò perché possa crescere un mattone sopra l’altro e che gli stessi mattoni possano non mancargli mai.
Mi meraviglierò del ritmo del corpo, del cuore, della passione dei ragazzi di Human, della loro stoffa bella e colorata, e degli abiti bellissimi che potranno diventare nella loro vita e tutto quello che potranno creare con quella degli altri se ci metteranno testa, cuore, entusiasmo, perseveranza, pazienza e preghiera.
Sbircerò con sana invidia la vita di Rosario e Cristina che hanno scelto di appartenere a questa comunità e di coltivare giorno per giorno la bellezza che può nascere dalle ceneri.
Immaginerò la mia futura casa con le porte aperte e con un palloncino, uno soltanto, sul soffitto che la sollevi un po’ da terra.
Imparerò a fermarmi quando si creeranno incroci miracolosi in cui la cura sarà reciproca, in cui non servirà prepararsi per un incontro, ma solo spontaneamente entrare in contatto, conoscere, custodire e riscoprirsi.
Mi guarderò allo specchio, leggerò sul mio volto dei lineamenti nuovi, capirò che occorre più energia nell’innervosirsi che per fare un sorriso e mi scriverò una lettera per ricordarmi di non dimenticare che questi nuovi segni sono diventati parte di me.
Mi perderò negli occhi immensi e profondi degli anziani che, come quelli dei bambini, fanno venir voglia di carezze, di ninnananne, di un posto caldo e sicuro. Qualcuno di loro mi inviterà a ballare, qualcun altro mi offrirà un tè, qualcun altro mi inviterà a pregare e il tempo si fermerà tra le linee delle loro mani, nei passi lenti dei loro piedi e tra i ricordi delle loro esistenze traboccanti di vita.
Apprezzerò il segno meno, dimenticherò il più e sognerò l’uguale.
Mi cimenterò con l’arte della lentezza, con il “mora mora ” e scorgerò così orizzonti nuovi di libertà rendendomi conto che ogni cosa a diversa distanza, può modificarsi: il tempo, le parole, le emozioni.
Renderò grazie per l’immensità della natura, del colore verde che mischiato con la terra rossa e con l’acqua delle risaie mi farà scordare chi sono e dove sono.

E prima di tornare a casa, peserò il mio cuore al chilo e scoprirò che pesa esattamente come il presente appena passato e come il futuro che verrà.
E tutto questo sarà passato attraverso quel cancello blu che ricorda il fondale di un quadro di Van Gogh da riempire di stelle africane o del colore del mare dove far arrivare tutti, anche da quella porticina che diventa ogni giorno il suo porto dove tutti trovano accoglienza, nessuno escluso. Da lì entrerò anch’io ogni giorno curiosa e trepidante, a volte stanca e arricchita, altri pensierosa e silenziosa, ma il più delle volte gioiosa e sorridente.

Mi sveglio, è già mattino. Sono pronta. Il mio zaino giallo con attaccato l’acchiappasogni donatomi all’ultimo incontro di ESF è sulle spalle: una partenza attesa quanto inaspettata.

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