di Simona Boschi

A Huambo, nel Centro de Acolhimento Crianza Feliz, la musica accompagna molti momenti della giornata. Una grande cassa viene trasportata qua e là per il centro e una presa della corrente si riempie di telefoni e radioline; prima alcuni ragazzi tengono il controllo della musica mentre altri lavorano, giocano, danzano, poi si cambia, altri ragazzi, altra musica e così un po’ tutti passano da lì a far sentire il suo.
Spesso qui gioco e danza si fondono insieme e, anche se la loro mente è concentrata a giocare, il loro corpo si muove comunque a ritmo di musica. E’ proprio vero che il ritmo gli scorre nel sangue.
Per me la musica è fondamentale, è il ritmo della mia vita, a volte è più lento altre più scatenato, altre malinconico, fresco, pensieroso, dinamico, romantico, agitato.
È il ritmo che accompagna le mie emozioni, che sostiene i miei pensieri.
È il battito che mi fa vivere.
Ho chiesto ai ragazzi del centro che cosa rappresenti per loro la musica e qual è il suo significato. Mi hanno risposto che per loro la musica è Arte, arte di combinare il suono per creare armonia, arte di mettere allegria, arte per la quale ci innamoriamo, ci integriamo totalmente al ritmo.
Per loro la musica è anche motivazione, una passione che tutto il mondo sente, un’armonia che li aiuta a non pensare, quella cosa che li fa sentire calmi e rilassati, passione, amore, intimità, desiderio, silenzio e poesia.
Rispetto a questo mio viaggio ho deciso di parlare della musica perché qui a Huambo per me ha assunto un nuovo significato ed una nuova importanza. Qui in Angola si parla portoghese, non mi è andata poi così male, ma studiare i numeri e il verbo essere non basta per riuscire a parlare con una persona, per capire che cosa cerca di dirti, per rimandargli qualcosa, per comunicare.

E allora come posso creare una relazione se non posso comunicare?
La musica mi ha permesso di avvicinarmi a quei ragazzi che nei momenti liberi iniziavano a ballare ed io ballavo insieme a loro. Mi sono fatta insegnare alcuni loro movimenti, alcuni passi, senza dover dire niente. Semplicemente mi avvicinavo e cercavo di rifare i loro movimenti; ho ballato alla mia maniera, all’italiana come dicono loro, e loro hanno iniziato a seguire me.

Nei primi giorni qui a Huambo c’è stato un momento in cui alcuni bambini della scuola del centro si sono avvicinati timidamente a guardarci ballare ed io, quando li ho visti, istintivamente ho fatto loro il gesto con la mano di unirsi. Urla di gioia e subito sono corsi da noi, e in quel momento si è creato il classico cerchio di danza africano dove uno alla volta si entra al centro e si inizia a ballare.
Non sapevo chi fossero, e ancora conoscevo poco anche i ragazzi del centro, ma ho sentito un legame che univa tutti quanti, una sintonia comune che vibrava fra di noi.
Scontato dire l’emozione che ho provato.
La musica mi ha permesso poi di avvicinarmi anche a quei ragazzi più timidi che in questi momenti non si uniscono alla danza ma che solitamente stanno attorno alla casa ad ascoltare le loro musica. Sono stata ad ascoltarla con loro, e dopo aver preso un po’ di confidenza con la lingua, gli ho chiesto di mandarmi un po’ delle loro canzoni via bluetooth, scelte da loro. Adesso ho il telefono pieno di canzoni angolane e di canzoni composte da un gruppo dei ragazzi del centro.
La musica è riuscita più di qualsiasi attività ad unirmi con i ragazzi, con tutti, con i più piccoli e con i più grandi, con i più timidi e i più estroversi, mi ha permesso di creare un legame, una relazione, dove le parole non erano necessarie, dove non c’erano differenze culturali o linguistiche, dove tutti eravamo legati dalla stessa passione e uniti fra di noi al ritmo di musica.

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