Scritto da Flavia De Marchis

“TREMENDA VOGLIA DI MARE”: riesco a leggere questa frase, assaporarla, respirarla, farla mia.

Tremenda voglia di buttarmi tra le onde della vita, cercare di dominare le paure, cercare di correre quella rischio di una manovra un po’ azzardata che però ti lascia un’emozione unica, indelebile, che ti fa sentire viva.

È una tremenda voglia di vivere quella che mi trasmettono i nostri ragazzi. Si, i nostri! I nostri compagni di viaggio, amici di avventure, disavventure e imprevisti, nostri fratelli maggiori o minori. Se la stanno riprendendo con tutte le forze, la loro vita. Ci si aggrappano con i denti, cercano di risalire. Quando qualcuno scivola e cade, allora ce n’è un altro pronto a tendere la mano, a dire “forza, lo so che vuol dire, come so che ce la puoi fare”. E allora ci si affida ai compagni, che diventano confidenti.

Oggi è il giorno del rientro e mi sento felice, poi triste e malinconica. Penso che non potevo chiedere di meglio da questa esperienza. Ripenso ai primi giorni, all’imbarazzo, ai primi discorsi a mezza bocca. Penso ad oggi e noto che non siamo così diversi. Il gruppo c’è. Si sente. È vivo. Mi mancheranno tutti, dal primo all’ultimo. Cerco di vivermi il presente, gli ultimi istanti con loro che per me sono maestri di vita.

Il ritorno è tranquillo, fin troppo.

In un istante torniamo al campus dove ragazzi della comunità ci accolgono come sempre con grandi sorrisi e orecchie curiose di sapere come sono andati questi tre giorni in mare.

Tutti a tavola e sento il mal di terra che arriva. Vorrei essere in barca in questo momento.

Subito dopo pranzo c’è il momento della parola, l’ultima, molto intensa. Sento cosa hanno da dire i miei compagni. Le emozioni diventano più grandi, il respiro più teso, tornano le farfalle nello stomaco e il nodo in gola.

Sono belli. Siamo belli.

Qualcuno dirà più tardi che lo scopo della bellezza è quello di farci incontrare.

Non riesco a trattenere le lacrime. Cerco di spiegare cosa sono stati per me questi 10 giorni di campus. È difficile ma ci provo e mi prendo il mio tempo, senza troppo imbarazzo. Dopo la parola gli abbracci, parole di conforto, il desiderio di rivedersi è grande. Ed io, fino all’ultimo secondo lì imparo.

Imparo che se sulla deriva c’è crisi, a terra c’è la pace.

Imparo che i più silenziosi sanno donarti parole e momenti d’oro.

Imparo che ci si può aprire davanti ad un gruppo di sconosciuti.

Imparo che la consapevolezza e il gruppo, aiutano.

Imparo che si può far parte di un’unica famiglia anche se il sangue è diverso.

Cosa possiamo donare e donarci alla fine di quest’esperienza?

Un bracciale fatto di nodi, di legami, intrecciando tre fili: verde come la natura pura e vera della Mammoletta, azzurro come il mare e bianco, leggero e forte come il vento.

Abbiamo preparato per ogni ragazzo un piccolo bigliettino con un ringraziamento, una dedica o un messaggio da consegnare insieme al braccialetto durante la colazione di domani.

Così ci ritroviamo noi Esf, con le ultime forze, ad intrecciare e a scrivere, insieme. Ancora una volta non siamo sole! Qualche ragazzo, mosso dalla curiosità, si avvicina e alla fine ci aiuta a finire il tutto.

La sera c’è un ospite speciale, che dopocena come se fosse una coccola, una ninnananna, ci offre alcune canzoni inedite. Siamo tutti a tavola, ancora una volta, uniti dal ricordo di un campo intenso, cullati da dolci melodie e parole dal sapore di speranza, gioia, dolore, mare, sale, bellezza.

E poi una chiacchiera, una partita a carte.

Ancora una e poi a dormire.

È difficile andare a letto oggi.

L. stanotte non ha voluto aprire il saccoapelo, allora ci mettiamo vicine e cerchiamo di stare sotto il mio.

E penso…

Penso che voglio prendere esempio da loro, provando a concretizzare insegnamenti. Il passato è importante ma non si può rimanere ancorati a vita.

Quello che resterà per sempre è quella “stra-fantistica” ( e qui cito L.) voglia di mare.

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