La verità? È che io questo Cammino non lo volevo proprio fare.

Sapevo mi sarebbe pesato.

Nei piedi,

nelle gambe,

sulla schiena,

nella testa.

Scritto da Andrea Perri

Sapevo che avrei dovuto lottare con me stesso, ascoltare il silenzio, sentire la fatica.

Io, che a camminare da soli si arriva primi, penso sempre.

Che chi se ne frega di arrivare lontani, preferisco primo.

Mi ripeto che non voglio.

Capisco che devo.

Devo fare ciò che non voglio per lasciarmi alle spalle la logica infantile della parola io, io, io e ancora io.

D’un tratto, senza sapere come né perché mi ritrovo all’interno di un Eremo, ad ascoltare canti che mal sopporto e sentir parlare di Speranza, con persone che per la quasi totalità conosco appena.

Di solito a questo punto le strade possibili sono due: o scatta la magia, che come un’epifania ti rivela il senso di tutto; o capisci che non c’entri nulla con tutto questo e scappi via.

Ho scelto la terza: Camminare in salita.

Passo dopo passo mi accorgo che tutto sommato non è poi così difficile.

Camminare in silenzio, guardarsi dentro, sentirsi rassicurati da chi cammina avanti o dietro di te, pensare.

E penso alla Speranza, che se vuoi che non diventi utopia, devi essere certo sia vera, che questa certezza nella speranza diventa fede.

Come la cima di questa salita. Arriverà presto, anche se non la vedo.

Mi addormento.

Penso parole a caso.

Illusione, potere, virtù, errore, soggezione, audacia, dovere, volere, ricerca, traccia, tempo, silenzio, riflesso, eredità, radici.

Non c’è un nesso, non lo cerco, non è importante adesso.

Mi ricordo che le parole ci possono salvare… in qualche modo.

Così le scrivo, le ascolto ma non le parlo, parlo sempre.

Oggi no.

Cammino in salita.

 

 

 

 

 

 

 

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