Scritto da Elisa Frezza

Una particolare coincidenza ha voluto che il mio primo incontro con gli alunni della Scuola Secondaria di I grado di San Martino al Cimino (VT) capitasse proprio nel Giorno della Memoria.

Entro in classe e mi sento i loro occhi puntati addosso. Li guardo anche io, uno a uno. Sono davvero buffi, penso, abituata ai miei piccoletti della Scuola dell’Infanzia. È da un po’ che non ho a che fare con questa fascia d’età, l’età di mezzo, né bambini né ragazzi, è difficile carpire l’attenzione, valutare quale sia il registro migliore da utilizzare, attirare il loro interesse mentre sghignazzano e parlottano tra di loro.

Racconto di ESF. Comincio sempre così: cosa vuol dire frontiera? E cosa vuol dire andare oltre le frontiere? Quelle che si trovano nella nostra mente però… per quelle non bastano passaporto, vaccinazioni e biglietto aereo. E cosa vuole dire educazione? Chi è un educatore? Cosa fa? Lo sapete che il nostro fondatore, don Antonio Mazzi, dice sempre che dentro ad ognuno di noi c’è un mondo meraviglioso che aspetta solo di essere tirato fuori?

Racconto di come è nata l’associazione, del corso di formazione, dei miei viaggi, del nostro arrivare in punta dei piedi, del pulirsi le scarpe prima di entrare. Lo sapete che si parte in gruppo? E con noi portiamo sempre un diario di bordo… voi scrivete? Ed ecco che arrivano le foto, i video, le prime domande: come vi accolgono? In quale lingua comunicate? Mangiate insieme a loro? Ma veramente avete visto quegli animali?

Gli incontri non sono mai tutti uguali, mi lascio trasportare dai miei ricordi, tanti episodi affiorano alla mia mente e vogliono essere raccontati, altri vengono richiamati dalle domande dei miei giovani uditori. Cerco di non perdere di vista l’essenziale, di pensare alle cose che sentono come più vicine e a quelle che possano farli riflettere. Ero di poco più grande di voi quando ho iniziato a sognare l’Africa e finalmente, 8 anni fa, ho potuto realizzare il mio desiderio di volare fin laggiù.

Racconto della povertà, dei segni della guerra che ho visto sui corpi dei ragazzi sierraleonesi, dei loro coetanei malgasci che ogni giorno percorrono chilometri e chilometri a piedi per raggiungere la scuola. Racconto di bambini che a scuola nemmeno possono andarci, che non possono curarsi, che non possono neanche giocare perché lì appena sai reggerti ben saldo sulle tue gambe puoi trasportare il tuo fratellino sulle spalle, andare a prendere l’acqua al fiume, badare al bestiame…

Racconto e mi chiedo se l’ora trascorsa insieme possa lasciare una minima traccia in questi ragazzi. È pur sempre un semino, mi ha detto con un sorriso incoraggiante la mia amica Sabina, insegnante di lettere nella Scuola Secondaria di Capranica (VT), che ha proposto all’intero istituto comprensivo di dedicare ad ESF l’anno formativo in corso. Mi chiedo allora su quale terreno cada questo semino, se sia curato a dovere da noi adulti, annaffiato e concimato il necessario per restituire al mondo buoni frutti e mi rendo conto di quanto disperato bisogno ci sia di queste cure, oggi.

Siamo nel Giorno della Memoria e proprio ieri ho sentito Moni Ovadia rispondere  a questa domanda: Come possiamo spiegare la Shoah ai nostri figli? Le sue parole sono pressappoco queste e cercando di ricordarle al meglio le ho riproposte a chi mi stava ascoltando: Immagina che qualcuno ti porti via pezzo a pezzo quello che hai e quello che sei: non puoi più andare a scuola, non puoi più giocare, non puoi più avere mamma e papà. Immagina che ti portino via la dignità, che è una cosa che non si vede, ma che è dentro di te ed è quella che fa di te quella creatura unica, insostituibile, che è amata, che riempie il mondo con la sua bellezza.

Parliamo di memoria ed è importante capire che ricordare vuol dire non solo guardare indietro, ma avere occhi aperti per guardare quello che accade oggi sia vicino che lontano a noi. Perché ancora oggi tante, troppe persone si vedono portare via quello che sono e quello che gli spetterebbe di diritto. E lei perché parte per questi paesi? Per andare e vedere come si vive nelle periferie del mondo, dove c’è chi giorno dopo giorno lotta per non farsi portare via almeno la dignità.

Allora ripenso al mio sogno, ero poco più grande di loro quando ho aperto un cassetto e ce l’ho infilato dentro, un po’ in fondo, ma facendo in modo che non si perdesse nel dimenticatoio. Ed ecco che mi specchio in due occhi spalancati e attenti o in un ragazzo che timidamente, alla fine dell’incontro, alza la mano e chiede: ma come si fa a partire?

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