In questi giorni di “sosta”, i nostri Educatori senza Frontiere ci racconteranno il loro viaggio, il loro attraversamento di questo tempo, per non smettere di viaggiare mai, per non chiudersi mai dentro le frontiere.

Scritto da Sara Cofani

E’ dal 23 Febbraio che sono a casa. 51 giorni. Un tempo lunghissimo al quale faccio fatica ad abituarmi.
Non passerà facilmente tra i ricordi questa esperienza, quel che resterà rimarrà inciso nei miei ricordi e nella mia coscienza.
Mi lascerà non solo il segno di una brutta storia da raccontare, ma anche i migliori strumenti per ri-costruirmi.

Sto facendo caso a tutte le cose buone che sto facendo uscire. Sto riconoscendo la distanza presente dei miei amici. Sto progettando, sto immaginando, sto re-inventando il mio lavoro. Sto scoprendo cosa c’è nella mia casa.

Io mica lo so perché facciamo fatica a so-stare. A stare. A fermarci.

Questo tempo ce lo impone, ora, violentemente. Senza darci tempo di scegliere, senza scovare alternative possibili.
Resta a casa. Difficile adeguarsi a questo imperativo. Ma perché?

E’ una domanda che tocca la radice del nostro essere. Noi che privilegiamo sempre il movimento, l’andare fuori, il viaggiare oltre. Rimanere dentro impone di ascoltarci, l’ho capito adesso.
Stare bene con sé è più difficile che stare bene con.
Stiamo toccando, comprendendo e percependo l’abitare come elemento essenziale della vita.
Abitare una casa.
Abitare noi stessi.
Abitare gli altri.

Stiamo vivendo gli spazi, dentro e fuori da noi.
Mi guardo oggi con lo stesso stupore di un’ aurora boreale che colpisce il cielo all’improvviso. Un cielo d’estate che accoglie la pioggia e poi, di colpo, lascia di nuovo spazio al sole.

In questa casa mi sono lasciata andare ai ritmi lenti, lontani dall’affanno quotidiano. E devo dire che solo adesso riesco a mettere le cose a fuoco, osservandone i dettagli.
Prendo questi giorni come tempo per spaziare, inteso come un trovare uno spazio in cui poterci mettere tutto quello che serve: l’amore, la speranza, gli amici, la solitudine, la tristezza, la delusione, l’immaginazione.

E poi, mentre spazio, sento risuonare incessantemente nella testa le parole di un anziano che porta sulle spalle e negli occhi i dolori del mondo: “nessuno si salva da solo”.
Da leggere, da rileggere, da sedimentare.

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