Quest’anno gli educatori e le educatrici senza frontiere non partiranno. Ci prenderemo il giusto tempo per rigenerarci ed essere pronti a preparare nuovamente lo zaino e portare avanti i nostri progetti in giro per il mondo.
Vogliamo però raccontare i nostri viaggi, partendo dalle foto più significative.
Buon viaggio insieme a noi.

Scritto da Silvia Grugnaletti

Huambo, novembre 2019

Mancava poco alla fine del nostro anno di servizio civile a Huambo. Un anno intero, 24 ore su 24, vissuto in comunità insieme ai ragazzi e ai bambini del Centro di Accoglienza. Gli spazi, certe volte, ci sembravano talmente enormi da avere la sensazione di esserci persi qualcuno. Altre volte, erano troppo stretti, soffocanti, tanto da sentirci costretti a convivere con degli estranei.

Ma la casa degli educatori era quasi un limbo, un posto sicuro. Né troppo grande né troppo piccola. L’abbiamo resa tale fin da subito, sia per noi tre educatori, sia per i ragazzi, con una passata di tinta sulle pareti, un po’ di colore, un tavolo più grande e comodo, una scritta sul muro, delle stoffe belle e pulite. Creare nuovi spazi e occuparne altri, abitarli.

La nostra casa è tra i ricordi più belli: ogni sera era abitata da diversi ragazzi solo per un po’, per un saluto, una chiacchiera, una partita con le carte, un po’ di crema per i brufoli, un dubbio su un esercizio di matematica, una serenata con la chitarra, una ricerca su internet. Anche se, a fine giornata, eravamo tutti molto stanchi, era il momento che preferivamo di più, perché starsi accanto prima di andare a dormire e poi dirsi “buonanotte a domani”, sentirsi a casa ed essere un rifugio sicuro per qualcuno, ci rendeva consapevoli che quel seme che tanto speravamo di aver piantato, giorno dopo giorno, per un anno intero, stava diventando forte e stava nascendo.

Eccoci qua, dentro la nostra casa, dove sta per iniziare l’ultimo momento di Parola insieme ai ragazzi più grandi della comunità. La Parola è quando ci sediamo e condividiamo ciò è dentro di noi: un pensiero, un’emozione, un ricordo, un bisogno, un desiderio. Ci sembrava il luogo più adatto, perché è stato tanto difficile arrivare a questa serata, seduti tutti davanti un the caldo in serenità, a casa. E’ sempre complicato iniziare questo momento insieme, con i soliti ritardi o chi non riesce proprio a condividere ciò che gli risuona dentro, allora preferisce nascondersi in camera.

Noi educatori abbiamo pazientato, aspettato e rispettato i tempi di ognuno, per arrivare a condividere una tavola dove saper ascoltare gli altri. Guardo i volti di questi adolescenti, alcuni di loro li ho conosciuti che erano solo dei ragazzini e adesso sono maggiorenni. Di anno in anno, ho visto i cambiamenti incredibili che hanno fatto e sapere che, nel mio piccolo, io possa averli aiutati in qualche modo, mi rende felice.

Adesso, leggo la loro preoccupazione nei messaggi che mi mandano: sono preoccupati per loro stessi e per il futuro. Le scuole in Angola sono chiuse dall’inizio della pandemia e le lezioni erano iniziate da poco più di un mese.

“Perderò un anno di scuola, come farò?”

“Voglio studiare. Fare i compiti a casa non è la stessa cosa”

“Voglio tornare a scuola, mi manca!”

Leggo questi messaggi con tenerezza, di questi ragazzi che già hanno perso molti anni di scuola, che sentono di non avere molte possibilità se non finiscono almeno la scuola di base. Ragazzi che, la maggior parte delle volte, bisognava rincorrerli per farli studiare, per fare i compiti insieme e per mandarli a scuola! Allora, subito dopo, mi scappa un sorriso e spero che questa voglia di studiare resterà anche quando sarà tutto finito, quando si potrà tornare a viaggiare, ad abitare altre case e abbracciare chi, anche nella lontananza, sa tenersi per mano e ricordarsi di dire grazie per esserci sempre.

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