di Marco Bocchi

 

“Bon Dia Família!”

Con queste parole ogni pasto, ogni preghiera, ogni condivisione veniva aperta.

Familia.

È questo uno degli obiettivi della comunità terapeutica Vida Nova: far sentire le persone come in famiglia; dare un senso di umanità dopo i vari sbagli commessi a causa di quella droga che toglie l’umanità.

Un obiettivo, ma più che altro un desiderio, come ci ha spiegato una volta Lucas, un ragazzo di 23 anni, che con un origami ci ha raccontato un po’ la sua storia. Proprio nelle sue prime parole ha spiegato a noi Esf che qualche anno fa aveva dei sogni, dei desideri: “una famiglia, l’amore e dei figli” ci dice facendo davanti a noi una casa con un foglio; “viaggiare” continua trasformando quella casa in un aeroplanino di carta. Poi degli strappi a quell’aeroplanino lo trasformano in uno spinello, poi in una siringa. Strappi materiali che servono per continuare la sua storia fatta di origami, ma che hanno rappresentato anche strappi di vita e di umanità. La droga strappa da tutto ciò che di vitale esiste, senza mai strapparci un sorriso.

Infine, grazie alle pieghe che aveva fatto, quella siringa si rivela una croce “ecco l’unica persona che ha saputo accogliermi come un Padre, che non mi ha giudicato e che riesce a tenermi qui e a non farmi tornare a drogarmi” conclude.

Nella mia esperienza brasiliana varie volte ho sentito questa sensazione di famiglia: il pollice alzato di Jorge quando ci apriva il cancello, i vari “Oi professor” di Ederson (ribattezzato come il mio maestro nel fare il pane), quegli “Holà Marco” di Mauro, e le varie smorfie di Salvador ogni volta che i nostri sguardi si incrociavano in cucina.

Penso, però, che i momenti in cui davvero si sia sentito un grande senso familiare siano stati soprattutto due.

Il primo durante il “giorno della famiglia” in cui le varie famiglie degli ospiti della comunità possono venire in visita.

Immagina la scena. Un cancello chiuso. Alcune ombre che si intravedono dall’altro lato. E da questa parte del cancello i ragazzi della comunità che cantano una canzone di benvenuto. E si vede negli occhi quella voglia di correre verso i propri cari, quella smania di amore, quel desiderio di abbracci e baci, quelle dipendenze che sono sane e da cui davvero sentono la mancanza, e se si guarda con attenzione si può notare qualche lacrima trattenuta.

Il secondo momento, invece, l’ho vissuto l’ultimo giorno. Senza parlare delle lacrime versate da noi Esf e da loro, è stato il gesto finale a farmi sentire un grande senso familiare.

Bisogna sapere che ogni volta che un ospita di Vida Nova finisce il suo percorso in comunità, viene accompagnato al cancello in un modo particolare: tutti i ragazzi si dispongono su due file e intrecciano le braccia per formare un ponte; chi deve essere accompagnato al cancello si sdraia su questo ponte di braccia che lo fa saltare in aria.

In questo modo hanno salutato anche noi.

Ammetto che fare un’esperienza del genere un paio di minuti dopo aver pranzato può suscitare dei movimenti di stomaco poco gradevoli, ma … che emozione!

Non è proprio questa la famiglia?

Un ponte che ti porta fuori, nel mondo, quando sei pronto e sei in grado di farcela da solo.

Un intreccio di legami che non cede nonostante la propria storia di vita abbia un certo peso.

Un sostegno che non ti fa cadere nei momenti più difficili.

Un gruppo di persone che ti lancia in aria e ti fa volare.

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