di Alessandro Pilia

In Honduras esistono due numeri che non sono affatto come gli altri, e che bisogna maneggiare con cautela: tredici e diciotto, i quali fanno riferimento alle due bande rivali più grandi e maggiormente attive del paese. Queste sono la Mara Salvatrucha 13 e la Pandilla Barrio 18, entrambe appunto anche note solo come “la 13” (o MS – 13) e “la 18”. La prima, originaria del vicino stato di El Salvador, é molto potente e ramificata al di fuori dei confini nazionali: si stima possa contare dai 30.000 ai 60.000 affiliati e, secondo il Ministerio de Justicia y Seguiridad Pública, almeno mezzo milione di persone connesse o che hanno relazioni più o meno stabili con essa.[1] La seconda rappresenta un”orgoglio” tutto honduregno (o per essere più precisi entrambe sono andate formandosi a partire da frangie criminali di origini salvadoregne o honduregne stabilitesi a Los Angeles e poi rimpatriate in centroamerica).

Lungi dall’essere periferica, la presenza delle bande criminali, e dei mareros e pandilleros che la compongono, risulta di capitale importanza non solo al fine di introdurre ad una visione di più ampio respiro alle vesti socio-economiche dell’Honduras — e di conseguenza all’immagine che questo paese offre al mondo, ma anche rispetto ad un più generale discorso sulla tossicodipendenza nel paese. Va da se come questi due temi — la tossicodipendenza e il crimine organizzato centroamericano — si influenzino vicendevolmente. Dunque, che immagine offre di se l’Honduras? Come viene percepito questo paese, dal mondo e dalle persone che lo abitano, coloro che con orgoglio si proclamano veri catrachos? Una domanda fattami da una vecchia signora incontrata qualche settimana fa, mentre gironzolavo per El Paraìso, può rispondere egregiamente a tale quesito. Mi è stata in realtà posta più volte, ma sempre con le medesime, semplici parole: non ho paura a trovarmi in Honduras? Considerati gli omicidi e tutto il resto, s’intende.

Confido sia stato davvero strano sentirsi porre una simile domanda, e credo di essermi trovato a chiedermi se rispondere di no, e fare la figura del fanfarone, o dire di sì, pensando comunque di non credere del tutto alle proprie parole. Ma ad ogni modo chi può biasimare una curiosità di questo genere quando la violenza che devasta la nazione è tra le più alte al mondo? Addirittura la più alta al mondo quando, dal 2011 al 2014, il paese centroamericano registrava il maggior numero di omicidi al di fuori di una zona di guerra, e San Pedro Sula deteneva il tetro record di città più violenta del mondo, con la capitale Tegucigalpa poco più indietro. Per capirci meglio: secondo le statistiche dello World Bank Group  nel 2011 la media era di quasi 86 omicidi per 100.000 abitanti,[2] mentre sappiamo che nello stesso anno in Italia se ne registravano circa 0,90 per 100.000 abitanti.[3]

In generale il tasso di omicidi del continente americano é stato elevato, il piú elevato in assoluto, nel corso degli ultimi 30 anni: tra il 1990 ed il 2016 la media é rimasta sempre tra 14.5 e 16.7 omicidi per 100.000 persone, contro una media mondiale che, nel medesimo quadro temporale, ha continuato ad oscillare tra i 6.0 ed i 7.4.[4] Ora, nei primi mesi di quest’anno l’Honduras ha registrato 526 omicidi, 19,2% in meno rispetto allo stesso periodo l’anno passato (651).[5] In sostanza, almeno all’albeggiare di questo 2019, una media di circa 9 omicidi ogni 100.000 abitanti. Questi numeri fanno ancora venire la pelle d’oca, ma su un continuum di quasi dieci anni è comunque evidenziabile un’apprezzabile diminuzione degli omicidi intenzionali. Ciononostante non stupisce il fatto che a partire dal 13 ottobre dello scorso anno si sia infine assistito ad un’esplosione epocale, disarmante, quando migliaia di honduregni hanno fatto fagotto e, partendo da San Pedro Sula, si sono messi in marcia verso il Messico e gli Stati Uniti.

Le motivazioni addotte dagli honduregni intervistati sono state prevedibili: da una parte è stato per la violenza, domestica ed operata dalle bande, dall’altra per l’assenza di possibilità lavorative e la stagnazione economica. Volendo affidarci ancora a qualche statistica, si pensi che secondo il Fondo Monetario Internazionale l’Honduras si posiziona in fondo alla classifica delle nazioni dell’America Latina per Pil Procapite.[6] Dietro di lui solo Haiti. Riassumendo: il generale stato di violenza dentro al quale è immerso lo stato, unito alle limitate risorse economiche appannaggio del popolo, sono gli elementi che non solo nutrono i sentimenti di chi è portato a lasciare il paese — come i “carovanieri” di cui si è parlato più sopra, ma anche di chi vi ci rimane, vi soccombe o viene assorbito dai suoi bordi. Questi “bordi”, o la calle se ci piace di più, sono gli stessi dai quali provengono alcuni dei ragazzi della Casa.

Trovarsi attorno e dentro di essi risponde anche (ma non solo) a motivazioni piuttosto semplici e concrete, ad esempio di natura economica: in tal senso se già la microcriminalità — come quella rappresentata dallo scippo e dalla rapina occasionale — offre una soluzione rapida e in un certo senso semplice alle proprie necessità, la criminalità organizzata di pandilleros e mareros offre un lauto compenso per un lavoro relativamente semplice come lo spaccio, nonché la protezione offerta agli affiliati. Perché infatti, come mi è stato detto in comunità, dovresti sgobbare otto ore a colpi di machete per 300 lempira (10 euro circa), quando in poco tempo e senza fatica lo spaccio te ne può procurare 1000 (35 euro circa)? Non c’è quasi bisogno di aggiungere che il rovescio della medaglia ad una paga allettante corrisponda non solo un probabile avvicinamento a sostanze stupefacenti, ma anche al rischio di venire uccisi a sangue freddo dagli affiliati alla gang rivale.

Un ulteriore aspetto che può avvicinare alla strada e ai suoi vizi è costituto dalla presenza di un’identificante cultura dei margini — di fede in un certo senso, particolarmente pervasiva in tutti quei barrios occupati e rappresentati dalle bande già citate  — portatrice di simboli, pratiche del corpo e tradizioni sociali, e che coinvolge l’individuo per il solo fatto di vivere i suoi stessi spazi.

Ne consegue che molte delle persone che sviluppano un senso d’appartenenza verso la cultura della calle subiscono un tipo di violenza definita “strutturale” e imposta; ovverosia un moto contro la persona che non si configura come una violenza fisica e diretta, ma indiretta e operata dalla società nei confronti di coloro che nascono e crescono in quartieri segnati e occupati dalla violenza e da problemi economici. Detto in altri termini la mancanza, ad esempio, di fondi adeguati all’impegno sociale, così come l’apparente difficoltà del governo ad arginare il fenomeno della delinquenza organizzata, e dunque a contenere le situazioni di marginalità sociale, si dispongono come co-autori alla sensibilizzazione dello sfortunato alla legge del barrio: a questo vengono insegnati i valori della cultura di strada, o suo malgrado ne viene assorbito. Anche in questo caso le ripercussioni della vita di strada sono prevedibili, perlomeno nella misura in cui si riesca ad immaginare e comprendere come l’attività di maras e pandillas sia strettamente legata al narcotraffico.

A tal proposito, ho forse omesso la parte più bella di quanto ci siamo detti, io e la vecchia signora de El Paraiso, quando a mia volta le ho voluto chiedere se anche lei non avesse paura a vivere in Honduras. Con orgoglio e fermezza mi ha detto che era nata a El Paraiso e a El Paraiso sarebbe morta: quello era il suo paese, e violenza o non violenza lì sarebbe rimasta, perché «l’Honduras è un paese bellissimo.» “È vero”, ho pensato, “e dunque c’è ancora speranza.”

 

 

 

 

 

 

 

 

[1] https://www.elheraldo.hn/pais/955018-466/cu%C3%A1ntos-intregrantes-de-maras-y-pandillas-hay-en-honduras (ultima consultazione 27/7/2019).

[2] https://data.worldbank.org/indicator/VC.IHR.PSRC.P5?locations=HN (ultima consultazione 27/7/2019)

[3] https://it.actualitix.com/paese/ita/italia-omicidi-nel-paese.php (ultima consultazione 27/7/2019)

[4] https://www.unodc.org/documents/data-and-analysis/gsh/Booklet1.pdf (ultima consultazione 27/7/2019)

[5] https://www.laprensa.hn/honduras/1265932-410/-asesinatos-honduras-homicidios-muertes-violentas- (ultima consultazione 27/7/2019)

[6] https://www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook/rankorder/2004rank.html (ultima consultazione 27/7/2019)

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