Alcune pagine per ricordare il nostro viaggio nella Locride.
Scritto da Monica Cimbro
E’ l’inizio di febbraio e a Locri c’è il tempo che non ti aspetti: freddo, pioggia, vento e mare in burrasca. Abbiamo tanto desiderato questi giorni di formazione e di testimonianza, in questa città antichissima di nascita eppure sfregiata dalla storia recente, disprezzata dalle cronache quotidiane. E finalmente l’ultimo giorno il sole colora l’alba e le nuvole di rosa. La colazione un pò intirizziti, le prime risate di giornata, l’emozione ancora forte per la performance della sera precedente nel teatro cittadino, i bagagli pronti per la partenza.
Poi tutti ancora una volta in cerchio nel salone per chiudere i lavori con la messa, la nostra messa speciale. Prima però proviamo i canti; è da tanto che non suono la chitarra, ma oggi sì, me la sento, la voglia di premere e far scorrere le dita sulle corde di metallo, di mettermi in ritmo con il canto.
Le parole del don, scandite con la solita fermezza, ci ricordano perché siamo qui: abbiamo bisogno di chiedere perdono a questa Terra. Un fascio di luce attraversa le grandi finestre della sala, illumina gli sguardi attenti. Qualcuno prende appunti, ci serviranno per ripercorrere i passi di questi giorni, per ritornare a camminarci dentro anche quando ciascuno di noi percorrerà strade diverse.
Ripartiamo da questa Terra perdonati e per donarci, per essere testimoni coraggiosi e anticonformisti, per imparare le lingue del mondo da chi sembra non avere niente in comune con noi se non l’umanità e la vita stessa. Essere qui oggi significa dare speranza e dignità non solo a questi luoghi ma anche a noi stessi, significa provare ad uscire dagli stereotipi e dai luoghi comuni, dai piccoli e più o meno consapevoli egoismi che ci rendono inevitabilmente meno sensibili e lontani dalle vite degli altri.
Ripartiamo senza bussola e con i piedi leggeri, ci lasciamo guidare dai sensi, dagli odori, dai rumori, dagli sguardi, dal caldo e dal freddo, dal dolce e dal salato.
Cantiamo la vita, quella semplice che non fa rumore, la vita dei dimenticati, quella di tutti i giorni eppure straordinaria, che riusciamo spesso a complicarci con cose di poco conto per poi scoprire che è già tutta lì, nelle nostre mani e nei nostri piedi.
Impariamo a usare le parole di un vocabolario scarno ed essenziale: passi, cammino, strada, sogno, infinito, insieme.
Parole che danno forza e sostanza al desiderio di viaggiare in un tempo e per un tempo che sfugge alla misura. Parole che mettiamo in musica, in movimento, in riflessioni, in simboli che ci accompagnano come il ciondolo con un piccolo campanello che ci è stato donato senza troppe spiegazioni. Simbolo di protezione, da far tintinnare in regni e terre lontani per ricordare e per essere ricordati.
Imparo anche io, non è mai troppo tardi per raccontarsi.
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