Scritto da Giulia Feroci

Eccomi tornata, a Roma, da quella che per me è stata casa in Madagascar: Ambalakilonga.
Come per la formazione Esf, ho da sentito subito un forte senso di appartenenza. E’ una comunità, si, ma solo di nome perché a primo impatto mi è da subito sembrata una grandissima famiglia.
Sin dal secondo giorno dopo il mio arrivo mi pentii di aver dato disponibilità, a partire, per così poco tempo.Da Roma mi chiedevo: Sarò in grado di sopportare una realtà tanto diversa dalla nostra? Come reagirò? E allora un po’ per non essere mai stata così “a lungo” fuori casa un po’ per gli impegni universitari, concessi solo un mese del mio tempo a quest’esperienza.

Da quel secondo giorno mi sono ripromessa di vivere ogni momento a pieno, di godermi ogni istante e di non lasciar scappare nessun dettaglio ai miei occhi che per la prima volta hanno osservato davvero hanno voluto vedere tutto, anche ciò che la mia mente si rifiutava di capire.
Già nel primo spezzone di strada che il Madagascar mi ha messo davanti, il mio cervello deve aver attivato un meccanismo di difesa per il quale credevo di trovarmi in un film e non nel mondo reale. Ero su un taxi e ci sono stata per un’ora ma non avrei mai voluto scendere, perché avevo la sensazione che per realizzare mi ci sarebbe voluto molto più tempo.

In 20 giorni la quantità di emozioni provate sono state davvero tantissime, mi sono messa alla prova con gli altri, con ambienti di lavoro che non avevo mai conosciuto e toccato con mano ed infine, ma soprattutto, con me stessa.
Le persone prima di partire mi chiedevano cosa stessi andando a fare fuori, cosa stavo cercando, e perché così lontano da casa quando c’è bisogno di aiuto anche qui. La realtà è che non lo sapevo neanche io e la prima volta che mi sono chiesta davvero perché stessi partendo è stata sul secondo volo dall’Etiopia al Madagascar, anche lì domanda è rimasta senza una risposta, è vero era un’esperienza che volevo fare, ma perché?

Con il passare dei giorni ho capito che quello che dava un senso alla mia presenza lì era qualsiasi istante passato in compagnia di persone che non scorderò mai, l’accoglienza delle ragazze che stavano per diventare suore, un sorriso dei bambini della Semafi, una carezza data e un abbraccio ricevuto dai piccolissimi dell’orfanotrofio, uno sguardo scambiato con i ragazzi del carcere e un sorriso ricambiato da una signora camminando la strada.

Scrivere tutto sarebbe impossibile e temo che non sarei in grado di rendere giustizia alle sensazioni provate, quindi riporto qualche riga del mio diario personale, perché forse le parole scritte lì sono più adatte di quelle che potrei trovare in questo momento.

“Sono passati diversi mesi da quando ho saputo la data della partenza, mesi in cui non ho voluto farmi delle aspettative su come sarebbe andata.. e come mai avrei potuto immaginare tutto questo? Mi sono innamorata perdutamente di questa casa, di questi volti, delle strade, degli odori forti che attaccano il naso e la gola e mi fanno risvegliare da quella sensazione iniziale del ‘è tutto vero?’. Avevo paura di non essere all’altezza di quest’esperienza, di non farcela, di non saper gestire le emozioni che mi avrebbero preso lo stomaco e il cuore. Io per queste persone sono stata un passaggio veloce in un tempo lunghissimo ma non posso assolutamente dire lo stesso di cosa questo posto e queste vite sono state per me. Sono stata riempita di emozioni che mi straboccano dagli occhi sottoforma di lacrime che faccio di tutto per trattenere in pubblico, senza riuscirci. E’ vero non mi ero fatta aspettative ma ho avuto tutto quello che potevo ricevere, mi sento ricca, piena ed ho il cuore gonfio. Mi sono pentita di essere stata per così poco tempo, e per questo tempo trascorso in un lampo mi sento malissimo al pensiero di dover ripartire, allora mi chiedo come avrei reagito ad un tempo più lungo, a legami più forti? E, poi, penso che è stato giusto così. E’ stato tutto perfetto ed ho un fortissimo senso di gratitudine per questa terra, per le persone che ho incontrato, per il tempo che mi è stato dato e che ho saputo vivere in quello che per me è stato il migliore dei modi.”

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