Fin da subito è facile accorgersi che qua a Huambo non manca proprio nulla: tristezza, gioia, compassione, divertimento.

Scritto da Ilaria Botticini

Tutto ciò che è vita. Ma non è la solita vita: qua è più vissuta, è ancora più difficile nascondere le emozioni; è una vita in cui non puoi fermarti, non puoi nasconderti, devi buttarti, anche senza paracadute solo come un folle, uno “scartino”, potrebbe fare.

Ci si butta insegnando inglese e matematica a ragazzi che non parlano la tua lingua; ci si butta quando ti trovi a stringere tra le braccia bambini appena incontrati, vivendo giorno per giorno, sfidando le tue insicurezze, la tua timidezza, le tue paure. Davanti a occhi scuri e profondi come quelli di questi ragazzi non puoi fermarti, non puoi tirarti indietro ma devi lanciarti, rischiare, metterti in gioco scoprendo che, spesso, ne vale veramente la pena.

E’ un tuffo nell’assenza delle solite certezze della vita, nella mancanza delle basi comuni, nelle novità, nelle scoperte, nella magia del “non sapere”, del “non conoscere”; è un tuffo nel buio. Ma il buio di Huambo non fa paura: è accogliente, è un buio che ci unisce attorno ad una piccola tavola mentre si legge insieme un libro con la luce di una torcia; è un buio rassicurante che non risveglia incubi ma accende sogni di bambini che vogliono volare, che vogliono imparare a cantare in italiano, che vogliono diventare supereroi, che pur non conoscendo l’alfabeto, sanno scrivere “Amor” senza indecisioni.

Il mio viaggio a Huambo ha rappresentato un grande, enorme passo per la mia vita. Un passo verso un mondo sconosciuto, diretto verso sguardi nuovi, verso nuove esperienze, nuove avventure. Il mio viaggio è stato una scoperta, di me stessa, delle mie qualità e delle mie difficoltà. Ha significato colorare la mia anima e la mia pelle con le tempere dai colori accesi, usati per fare i lavoretti. E’ stato un risvegliare le mie emozioni con il ritmo delle canzoni angolane, un riscoprire la bellezza di essere bambini, un riaccendere la fantasia e la voglia di giocare a palla, di non avere pensieri, di prendere fiato a pieni polmoni dopo una corsa, di sperare che il sole resti sempre alto per stare ancora in campo a rincorrersi, di guardare fuori dal finestrino di un’auto scassata e immaginare di volare, di camminare a piedi nudi sulla terra per sentirne la freschezza, di vivere al massimo.

E come questi ragazzi ogni giorno si tuffano in quella che loro chiamano piscina, io mi sono tuffata in questo posto, nelle loro vite, nelle strade impolverate, nella terra rossa e in questo mondo unico, per un piccolo lasso di tempo, con la speranza di lasciare una parte di me, anche piccola, e con la certezza di portare sempre nel mio cuore i loro sorrisi, i loro occhi e le loro parole.

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