Scritto da Ilaria Pegoraro

Vedere il mondo,

raggiungere mete pericolose

guardare oltre i muri,

avvicinarsi l’un l’altro e sentirsi,

questo è il senso della vita!” (dal film “I Sogni segreti di Walter Mitty”)

Questa è la frase più ricorrente di uno dei miei film preferiti, il filo rosso della storia. Mi aveva colpito allora e oggi mi stupisce ancora di più, mi interroga ancora di più, alla luce della mia meravigliosa esperienza ad Ambalakilonga, ma anche alla luce di tutto un anno di cammino trascorso in Esf. Un’esperienza che si è succeduta in un “prima”, un “durante” e un “dopo”, e sta proseguendo anche ora, mentre sto scrivendo, qui, a casa mia.

VEDERE IL MONDO”, così inizia questa splendida frase. E a chi non piacerebbe vedere il mondo?? Quanti sogni ad occhi aperti ho fatto e faccio tutt’ora scrutando nel cielo un aereo. Mistero, incognite, stupore, fascino: il viaggio è tutto questo e di più ancora. Eppure, da qualche anno a questa parte, per me la parola “viaggio” ha cominciato ad assumere nel mio cuore una sfumatura diversa ma che non riuscivo a decifrare. Certo che avevo voglia di viaggiare, scoprire, cercare, ma cosa? Dove volevo andare? Perchè non riuscivo più a delineare in quale senso direzionare la mia voglia di partire e viaggiare a 22 anni? Cosa voleva dire per me vedere il mondo a 22 anni? Pagare un biglietto aereo e scegliere un albergo? O desideravo qualcosa di diverso? Per me probabilmente “vedere il mondo” cominciava ad assumere un significato nuovo, forse più ampio. Ero confusa, e devo dire anche frustrata e avevo anche paura del cambiamento, di questa voglia così forte di “andare oltre” di uscire dalla soglia di casa e partire. Ma in quale senso? Con quali motivazioni? Dovevo capire a tutti i costi. Dovevo capire, capire per stare bene,forse. É così decisi che qualcosa doveva iniziare…un percorso forse? Cercare di tirare fuori dalla mia testa e dal mio cuore tutto ciò che vi reprimevo dentro non è stata operazione facile perchè ho cominciato ad avere paura. Paura. Di cosa? Dei miei desideri. Della meta che non ho mai voluto chiamare con il suo nome per paura del percorso, per paura della fatica, per paura di rendermi conto che ciò che desideravo di più al mondo era uscire, scoprire, abitare nelle situazioni e, come suggerisce la seconda riga della frase, “RAGGIUNGERE METE PERICOLOSE”. E la parola “pericolo” in questo caso non la associo al livello di insicurezza di un qualsiasi Paese nel mondo, a quanto sia pericoloso materialmente un luogo. Ma al “pericolo” che corro nel partire, nel farmi cambiare, decostruire, e tornare a casa un po’ diversi da prima. Al pericolo di aprire i propri orizzonti, le proprie piccole e cieche visuali sulle cose; al pericolo di considerare altri punti di vista e constatare che il mio metro di misura non è universale; al pericolo di abitare in situazioni scomode e non sfuggirne, ma coltivare relazioni al loro interno. Insomma, avevo scoperto di essere pronta ad affrontarne il rischio, avevo scoperto di desiderare un rischio del genere. Sapevo quindi ciò che volevo: mettermi a servizio e intraprendere un percorso formativo per me. Così, dopo aver dato la mia disponibilità, mi venne comunicata la meta: il Madagascar, più precisamente Fianarantsoa, una grande città a sud della grande isola. La mia casa per 3 mesi sarebbe stata Ambalakilonga, una splendida comunità per adolescenti, un luogo toccante, vivo nel mio cuore.

La frase prosegue dicendo “GUARDARE OLTRE I MURI, AVVICINARSI L’UN L’ALTRO E SENTIRSI”. È stato difficile rendermi conto dei miei limiti. Quanto lo è stato, e non me lo immaginavo, non lo sapevo. Ho fatto davvero fatica a “guardare oltre i muri” inizialmente, ad “avvicinarmi” in maniera matura, intenzionale, empatica, una fatica durata tutta un mese sui tre che ho trascorso in Madagascar. “Guardare oltre” è un’operazione di totale abbandono: è come se dovessi accartocciare e gettare in un cestino con una mano tutti i personali preconcetti, gli stereotipi, le proprie costruzioni mentali, le proprie fragili e stupide sicurezze, mentre con l’altra mano non perdere la lucidità e tenere ben salda e con una stretta forte la propria capacità critica, che, di fronte a determinate situazioni, tende a sfuggire. Rimanere sé stessi ma cambiare, lasciarsi trapassare da parte a parte dalle storie e dalle immagini, lasciarsi smontare come i puzzle e farsi ricostruire, senza dimenticare da dove si viene. Si soffre tanto, questa operazione non lascia indenni, non lascia sereni, ma, come mi ha saggiamente detto Rosario Volpi, “delle volte è necessario stare male, toccare il fondo per poi sentirsi diversi, sentirsi meglio”. Ho imparato che irrigidirsi di fronte al cambiamento diventa frustrante e immobilizza. Solo così, solamente lasciandomi andare al di là di ogni rigidità, ho trovato il vero coraggio di guardare oltre i muri, di avvicinarmi all’altro veramente, di avvicinarmi sospendendo qualsiasi giudizio. E anche se sento di avere ancora molto da imparare, ho capito bene che tutto ciò significa accoglienza dell’altro, accoglienza incondizionata della sua storia, dei suoi punti di vista delle sue diversità, una lezione esistenziale questa che non avrei mai imparato da sola senza l’esempio, prima di tutto e di tutti, di ogni singolo ragazzo di Ambalakilonga.

La frase conclude: “QUESTO è IL SENSO DELLA VITA!”. Il mio viaggio non si è concluso, sta procedendo. Anche ora che sono qui sto viaggiando. Stiamo viaggiando tutti, viaggiamo da quando siamo nati. Nonostante tutto infatti il primo viaggio importante che si intraprende è quello in casa propria. Nessun aereo, nessuno zaino, eppure siamo sempre in viaggio. Viaggiamo a scuola, al lavoro, in famiglia, a casa di un amico, in stazione. I muri alti, le grandi sfide relazionali e sociali sono ovunque, quanti mondi lunga la via di casa nostra. Vedere il mondo, le mete pericolose, guardare oltre i muri…ciò che mi porto a casa sono ricordi, voci, volti, una lingua nuova, una lezione di estrema semplicità ed essenzialità ma soprattutto chiavi importanti per abitare casa mia, per vivere anche a casa mia, nella mia terra, per continuare il mio viaggio; chiavi importanti per continuare a mettere in discussione i miei punti di vista, per trovare il coraggio di fare la differenza e accogliere l’altro come una delle ricchezze più preziose al mondo.

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