Caro Educatore Senza Frontiere, se ti scrivessi ogni giorno, probabilmente inizierei sempre in modi molto diversi. Sono giorni, tempi, di grandi movimenti interni, che in realtà da quando sono iniziati nella mia pubertà, non sono mai smessi!

La psichiatra della comunità dove lavoro come educatrice, con la quale ho un bel rapporto di affinità e stima, mi ha detto poco fa che: “ Non si finisce mai di cercare e di essere inquieti..so che tu mi capisci”. Ed è proprio così: non è che lo capisco, me lo sento addosso, è la mia pelle!

A volte lo sconforto e la negatività che trovo guardandomi attorno e dentro, prendono il sopravvento, insieme a dubbi  e paure, così che  le mie lettere a te sarebbero ermeticamente cupe o sconclusionate; per fortuna però la maggior parte delle volte l’inquietudine e la ricerca sono una molla che mi spinge verso il mondo e le persone, sono curiosità di conoscere e scoprire gli altri e me stessa, tutti presi nella danza della vita.

Così ora ti scrivo con questa carica nel cuore, la stessa che mi ha portato a entrare in punta di piedi al parco Lambro a novembre per incontrare per la prima volta il mondo di ESF.

La mia ricerca ha sempre avuto, tra i tanti, un bisogno forte di “ Appartenenza”; quando non la trovo o non la sento, il leone inquietudine dentro di me, si alza e ruggisce forte. Gaber nella sua bellissima canzone mi ha insegnato che “ L’appartenenza è avere gli altri dentro di sé”. Ecco, così io mi vorrei sentire sempre, così vorrei fosse il mondo.

In queste poche parole credo sia racchiuso tanto, e mi sembra di averlo sentito nel passo e nel respiro di ESF; camminare insieme e fare parte di un progetto con Educatori senza frontiere, mi fa pregustare anche un’appartenenza fisica, concreta, a qualcosa di importante e che vale, a persone che mi somigliano. L’idea di questa possibilità mi riempie il cuore.

L’anno scorso mi ero iscritta al bando per il servizio civile all’estero; non sono stata presa e inizialmente l’ho vissuto come un grande fallimento personale e come un esclusione da  ciò a cui tanto volevo appartenere. Che poi che cos’era quello cui volevo appartenere? Potrei dire un progetto in cui credo che ha come obbiettivo l’incontro, l’arricchimento e il miglioramento di entrambe le parti, la possibilità di una mia crescita, di dare il mio piccolo contributo… semplicemente “farne parte”, o ancora più semplicemente, uso le parole che mi hanno investito come un treno per la loro forza, trovate nel libro di ESF: per me quella era “una strada con un cuore”.

Con i mesi, piano piano, me ne sono fatta una ragione, mi sono detta che così doveva andare. Il  pezzetto di Perù e di Romania, che ho assaggiato nelle mie passate esperienze di viaggio in progetti all’estero però, sento non mi bastano. Ne ho percepito il sapore, un insieme di dolce, amaro, piccante, succoso….Ora, che è passato qualche anno, ho fame. Una fame famelica!

Così è stato che con il mio leone ci siamo dati da fare, e alla fine, eccomi qui che scrivo a te.

Ho tante paure e incertezze; mi chiedo spesso chi sono, qual è la mia strada, e a volte mi risponde uno spaesato silenzio. Ti dico però che sono determinata a scoprirlo, che io il cuore ce lo metto e ce lo voglio mettere, e avvicinerò l’orecchio ad ogni strada che percorro per sentire se sta battendo. So che questo lo posso fare se cammino con altri, specchiandomi nei loro occhi, costruendo insieme noi stessi e il mondo in cui volgiamo vivere.

Con queste parole, ed il sorriso che ho sulle labbra, ti saluto.

Ti abbraccio e spero ci vedremo presto!

Francesca Pedrola

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