Scritto da Giuseppe Vico

Se un ESF, mentre vive e rielabora sulle povertà e le “periferie” personali e sociali, non si chiede cosa sia educazione, alla luce di che cosa procede?  La relazione educativa è una rigenerazione continua; è la ricerca e il rifiuto di una maschera, la non accettazione di una tipologia umana che fa comodo ad alcuni e che suona come spregio e offesa ad altri. Essere registi e attori di eventi formativi significa per l’ESF investire sul senso e sul fine di un coinvolgimento in una erranza educativa che smuove coscienze e ambienti e li ordina verso quel fine che “marcisce dentro” di lui e trasforma l’erranza in motivazione personale e sociale a smuovere coscienze, a superare difficoltà e, paradossale, a vedere in luce diversa anche contesti cristallizzati sull’inedia e sullo sfruttamento. Il tutto nel sentore di quella verità umana che invita a crede che nella vita si rinasce tante volte dopo essere venuti al mondo dal ventre materno. Registi e attori dell’evento educativo rivelano il loro risveglio soprattutto sul piano del dover-essere. Così bene espresso in un verso del poeta Pindaro: <<Uomo diventa sempre più uomo!>>. Non ci sono alternative alla fatica e alla bellezza del crescere e del farsi persone mature in quei contesti di periferia estrema che sorprendono e stupiscono con le loro manifestazioni paradossali di potenzialità rigenerativa, di senso della sofferenza e di accoglienza da un lato, e di “epifanie nuove” in luoghi di viva umanità sofferente e da tempi immemorabili in attesa che Dio avvenga in una nuova Apocalisse educativa. Il principio pedagogico dell’<<occasionalità>> appare dono e grazia per gli educatori intenzionati a smuovere vissuti e povertà e a cogliere talenti in un mondo appassito e nel quale anche la narrazione sembra sostare da tempo sull’Io con se stesso e, al massimo, con quel Tu che ti vive accanto e con il quale spartisci il non scorrere del tempo. Il narrare dell’ESF è indice di conoscenza, di coinvolgimento e di una didattica ambulante e spesso messa su come un banco di mercato dove tante donne, uomini e bambini girano stupiti e increduli dinanzi a quel tutto che, proprio in virtù di una motivazione educativa e formativa, riesce a conciliare la facile metafora che spesso ci fabbrichiamo, lì per l’ì, come fossimo Babbo Natale.

E in questo fermentare di coscienze tra i banchi del mercato c’è tanto “lievito” per l’ESF e per la ricarica quotidiana. Lo scopritore di parole nuove, il seminatore di fermenti e, spesso, anche il sopravvissuto di cadute personali e culturali si alleggerisce del proprio fagotto e si rimette a leggersi dentro, proprio nel senso latino dell’<<intus legere>>: leggersi dentro per vedere tante cose in una luce diversa. Forse con meno stupore ma con quella saggezza ancora in erba che induce l’ESF a riflettere sul “perché?” dei suoi viaggi. E’ un punto fermo: sapere che siamo tutti sulla stessa barca ma con responsabilità diverse. Chi educa non può mai identificarsi nell’educatore e viceversa: lo stupore dell’incontro finisce qui? No. Il verbo “finire” sta per ricominciare, dalla fine l’inizio. Non si può educare senza un’idea del fine per cui si cammina, si narra, ci si incontra su parole nuove e si scommette alla Pascal sul senso etico e religioso della vita.

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