Scritto da Chiara Pasquali

Ci metto qualche giorno a capire dove sono, l’impatto con l’Honduras non mi sconvolge li per li, resto barricata dietro a quelle quattro incertezze che maschero da certezze per sentirmi forte. Ci pensa Raul a farmi capire dove sono e perché sono qui, ci riesce il primo giorno in cui cominciamo il laboratorio di autobiografia sulla nostra storia di vita. La consegna del lavoro è forte, una lettera ad una persona cara o a noi stessi dove abbiamo la possibilità di dirci o dire al nostro destinatario quello che ci fa paura, quei vissuti che non abbiamo la forza di affrontare, le scomode verità che ognuno di noi nasconde sotto il tappeto facendo finta che non esistano.

Mi arriva subito forte e chiaro il messaggio che questo laboratorio tocca esattamente le corde che in me hanno più risonanza, mi guardo intorno e sento l’aria u po’ pesante, siamo tutti un po’ tesi, c’è chi si emoziona già mentre scrive, c’è anche chi a scrivere ancora non ce la fa e lascia il foglio bianco. Poi c’è Raul, che, aiutato da Gabry, riesce a tirare fuori e condivide per primo, immaginate un ragazzone honduregno con l’aria da duro, la canotta bianca e i muscoli in evidenza che non riesce a trattenere le lacrime, gli rigano il viso e neanche le asciuga.

Rimango pietrificata, non riesco a staccagli gli occhi di dosso e mi accorgo che sto piangendo con lui, non ci conosciamo nemmeno, forse non si ricorda nemmeno il mio nome, siamo qui da quarantotto ore.

E’ qui che ho capito di essere arrivata in Honduras, è qui che ho capito di essere a casa Juan Pablo II e cosa comportasse davvero l’essere qui.

Non avevo ancora capito quale sarebbe stato il mio ruolo in questo viaggio, non avevo ancora neanche capito come il destino mi avesse portato in quella casa, ma ho capito immediatamente capito guardando gli occhi di Raul che il mio compito qui sarebbe stato raccogliere momenti come questi, custodirli gelosamente, trovare un posto nella memoria del cuore dal quale non toglierli mai più.

Sono una delle ultime a scrivere di questo viaggio, ma parto dal principio, il mio inizio è questo e ad oggi, dopo venti giorni, riesco solo a sussurrare un grazie, per avermi fatto dimenticare delle paure, per avermi fatto sentire parte di una famiglia e per avermi insegnato, che quando porti te stesso, questo può davvero bastare.

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