Scritto da Fiorella Bartolomucci

C’era una volta un luogo verde e rosso, le sconfinate colline si estendevano a perdita d’occhio, e le tonalità dei verdi erano una gioia per il gli occhi. Tra una piantagione di banane , ed una di kassave si scorgevano infinite stradine di terra rossa.

Il senso di movimento era costante, a qualsiasi ora incontravi persone che pazientemente si mettevano in cammino, verso dove non si sa, con carichi sopra la testa, sulle spalle, alcuni addirittura caricavano intere biciclette a tal punto che l’unico modo per farle camminare era spingerle con la forza delle braccia e delle gambe.

Qui, in un tempo che aveva luce dalle 6 e mezza alle 18 e 30 successe qualcosa di dolce e delicato: l’incontro di storie. Attraverso le mani, gli occhi, le bolle di sapone, le zappe, i colori, le parole stentate, le danze sfrenate, i giochi splendenti, pian pianino le distanze si accorciavano e tutti i nostri eroi, di svariati colori ed età, lasciavano cadere resistenze e maschere per trovarsi in semplici momenti di lucente felicità. Erano giorni buoni, erano giorni belli, erano giorni pieni.

Il tempo, in quel posto davvero relativo, silenziosamente scorreva e quasi te ne dimenticavi, così arrivò quello in cui bisognava salutarsi perchè qualcuno doveva tornare in un altro paese, e qualcuno doveva restare, tutti a coltivare la propria vita, a realizzarla nel quotidiano.

Cominciarono i giorni del ritorno, quelli in cui un abbraccio vale un po’ di più, che vorrei lasciarti qualcosa di me, dove si sussurrano all’orecchio parole di coccole anche se hai 5 anni e non le capisci, dove magari si gioca a carte anche se non va perchè è l’unico modo che si ha per star vicino, dove a piedi nudi si zappetta per finta al tuo fianco, dove ci si siede dietro nel fondo dell’autobus con gli educatori che così almeno per due ore si sta vicini ed anche se non si parla poi così tanto sono comunque due ore meravigliose.

Fino al giorno che si parte davvero, si caricano le valigie e si pulisce la casa, e si aspetta l’orario per il saluto finale che poi c’è proprio l’autobus da prendere.

Allora ci prepariamo per tempo, per lasciarci quella mezz’oretta di tempo in cui avremmo detto quelle ultime cose, avremmo fatto quelle ultime cose, avremmo stretto e carezzato con gli occhi lucidi e il cuore gonfio.

Ma si sa che un incontro, per definizione implica due parti, e si sa che quando non si è solo in uno tutto si complica, e si intrica,così succede che esci fuori e trovi la casa vuota, e cerchi bene ma è proprio vuota, e con il cuore che batte più forte ti arrendi su queste parole(che fai anche fatica a tradurre) : “ E’ meglio così, perchè poi voi piangete, e loro di più, e che ci si affeziona molto…”

E si trova un poco di senso negli occhi di quell’Educatore che non riuscivano quasi a guardarci, che non ha detto una parola, ma che ci è venuto incontro a braccia spalancate e noi abbiamo solo potuto abbracciare e stringere un po’, e poi si è girato e subito via.

C’era una volta un luogo verde e rosso dove incontrammo lucente vita, dove incontrammo il Non saluto, dove capimmo che non sempre possiamo capire tutta una storia, alcune volte possiamo solo viverla. Questa è la storia del non saluto, e alla fine vissero tutti felici e non salutanti.

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