Scritto da Caterina Mari

Aprile, oggi è un giorno speciale, è venuta a trovarmi mia madre alla Mammoletta, siamo in cucina, parliamo, raccontiamo di noi… Arriva la Marta “ho una notizia per te, andrai in Africa!” Una sensazione particolare, entusiasmo e paure. Passano tre mesi, prendo il traghetto, la macchina, l’aereo, il pulman e dopo 2 lunghi giorni arrivo al centro “Crianza Feliz”. E le paure crescono, l’emozione sale e tante domande affollano la mia mente, come un fiume in piena.

Cosa posso dare io ai bambini angolani? Io dalle mille lamentele, io che ogni giorno cercavo la mia piccola morte, mi merito di entrare nelle loro storie? Di ricevere i sorrisi e incontrare gli occhi neri e luminosi?

Mi sono guardata intorno, ho ammirato la terra rossa, i bambini ballare per strada, ho ascoltato la loro musica, ho sentito il profumo particolare, forte, della loro terra. E più andavo avanti nel viaggio e più i miei “capricci” sembravano perdersi nelle lunghe strade africane.

Io che una mamma che mi curava e mi rimboccava le coperte quando stavo male ce l’avevo, Tchuchu invece non ce l’ha e neanche Calisto, quando hanno la febbre si sdraiano sul materasso rotto, tirano su la coperte e se la fanno passare. Ma i bambini angolani non piangono mai? In questa terra dai mille colori non c’è tempo per le lacrime, c’è da giocare, costruire un pallone e correre, correre.

In questa Africa in cui il sole sorge presto mi sono sentita piccola, piccola. Io che lottavo contro la vita ho visto la sua forza esplodere nei grandi occhi neri e nei mille sorrisi che i bambini mi hanno regalato. “Questo non lo voglio, questo non mi va” fa parte di un mondo a loro lontano, quasi sconosciuto.

Ho osservato, sentito, ho pensato molto, la mia vita presuntuosa e a lungo superficiale si è incrociata con tante piccole grandi vite, ed ho capito che se ti prendi cura dell’altro in realtà ti stai prendendo cura di te, che un abbraccio è più terapeutico di tanti colloqui. Che quello che per noi non vale niente, per altri può essere molto. Forse ogni giorno dovrei chiedere scusa a Mingu, Pastor, Miguel, al piccolo Leon, per non aver dato importanza alle piccole cose della vita, a ciò che per me è sempre stato scontato, ma che per loro non lo è.

Non so rispondere alla mia domanda, non so cosa ho dato ai bambini angolani e forse non lo saprò mai, ma so con certezza che ora lungo la mia strada ci sono tante piccole impronte che segnano un tratto importante del mio cammino.

 

 

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