Scritto da Gabriella Ballarini

Il caldo di Nagpur ti entra dentro e si traduce in sudore e risate senza contegno. Ma poi capita che, proprio quando il tepore sale dal muretto di cemento del campetto di pallavolo e tu sei lì che non sai trovare una soluzione, arriva la pioggia, ma una pioggia immensa, di quelle memorabili, secchi di pioggia, tonnellate di fresco sopra di te. Giulia è al mio fianco e non ci viene in mente nemmeno per un secondo di andare a ripararci, l’acqua ci scivola addosso come una benedizione, come una doccia di cui non ricordavamo la consistenza dopo settimane a lavarsi con la brocca, cercando di risparmiare fino all’ultimo centimetro.

Lentamente arrivano le ragazze della casa e ci invitano ad una danza, ci dicono “facciamo Banzaaaaaaaaai zumpa!!??” e noi prima ci guardiamo, ma dura un istante e la pioggia ci avvolge e ci fa volare e cantare e ballare e i vestiti si fanno sempre più pesanti e le ragazze ci dicono di urlare ancora più forte e allora, a quel punto, tutti i ricordi si confondono e non lo so più se avevamo tutte 5 anni o se me lo sono solo immaginato.

Il viaggio, dunque, si nutre di questi istanti memorabili, piccoli dettagli d’infinito che si sdraiano sulla linea del ricordo e lo trasformano in indelebile rivoluzione. L’india che ci mette alla prova ad ogni saluto e congedo e pranzo o cena, l’India delle donne dai vestiti colorati e degli uomini con i pantaloni a zampa, l’India delle lenticchie piccanti e delle granaglie da mangiare a ripetizione, l’India che ti regala la danza della pioggia e tu che ti regali il tempo per pensare a tutto quello che in questo mese ti è passato sotto gli occhi, attraversandoti la mente.

Le ragazze del convento che hanno seguito la nostra formazione per 8 incontri, che hanno disegnato la loro identità e poi hanno detto che guardarsi da fuori ha fatto capire cosa c’è dentro, la sostanza che prende forma, la forma che dà un nome alla sostanza.

L’India del parlarsi e non capirsi, del capirsi senza parlarsi, che forse è meglio.

Da qui si riparte per questo viaggio di ritorno, pensando a tutti loro, senza aver potuto imparare tutti in nomi, ma ricordando ogni singola espressione del viso, quando si faceva teatro insieme, quando si disegnava o si scriveva legati da un filo che stringeva e faceva male e faceva anche un po’ ridere.

Parto e mi porto via una parte di me che ancora non conoscevo, mi porto via un’ India che non smette di sconvolgermi.

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