Scritto da Gabriella Ballarini

Noi siamo così, collezioniamo ultimi giorni. Li mettiamo lì, uno in fila all’altro. Quasi li aspettiamo gli ultimi giorni, come una liturgia, come qualcosa che deve accadere per farci sentire meglio, per farci sentire vivi. Noi viaggiatori siamo così, prendiamo i giorni e li cataloghiamo: i giorni della scoperta, quelli della fuga, quelli della furia e quelli del passaggio, i giorni del silenzio e quelli in cui ci capita di innamorarci dei colori e di scoprire i sapori.Noi educatori siamo così, ci preoccupiamo per ogni minuto che passa, perchè ogni minuto sia significativo, perchè sia un minuto che possa durare quasi un’ora, a noi piace sognare che tutto possa essere possibile, che il sole possa asciugare la pioggia e che non ci sia impossibilità per l’arcobalendo di stupirsi dei suoi 25 colori, perchè a quelli di prima se ne posso aggiungere altri, nuovi, inventati.
Noi che arriviamo in Honduras, in Madagascar, in Kenya o in Rwanda siamo così, ci accontentiamo di stare, di guardare, di godere delle invisibili sfumature che profumano il sipario di ogni giornata, che arricchiscono i giorni dell’ospite educabile.
Se questo può farci ancora sentire felici, allora credo che siamo nel posto giusto, siamo nella casa giusta, nella famiglia che stavamo attendendo di costruire poco a poco. Si parte per mille ragioni, questo noi lo sappiamo, ma l’unica ragione che conosco io è quella di cambiare, io voglio cambiare, ad ogni passo, voglio cambiare ad ogni piega del mio stupore, voglio raccogliere la provocazione dell’ultima messa di don Antonio nella quale, al freddo di una capella milanese diceva: ma voi siete vivi?
A questa domanda io rispondo di sì e lo faccio perchè la mia collezione di ultimi giorni non è nemmeno a tre quarti, ho uno zaino grande con una tasca rotta, ma tutto il resto funziona benissimo e c’è spazio per ultimi giorni stupendi e penultimi giorni magnifici, primi giorni spaventati e secondi giorni curiosi, c’è posto per lettere e canzoni, per litigare e stare bene, per lavorare anche la notte a patto che al mattino si possa dormire mezz’ora in più.
Noi sconosciuti siamo così, ci piace ancora pensarci inutili e belli da incontrare, semplici e facili al sorriso, ci piace che ci bussino alla porta per un saluto e ci piace ricambiare, convinti che le porte siano fatte per essere aperte e che i muri vadano bene anche di cartone e a mezz’aria.

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