Scritto da Daniele Pastore

Difficile pensarlo lì sulla pedana dell’aula 1 a parlare agli studenti.  Quasi impossibile ritrovare nella memoria delle tante parole ascoltate da quei banchi, così tanta passione, così tanta voglia di entrare nel cuore delle persone da commuovere. Poca accademia e tanta vita che scorre in quell’ora e mezza trascorsa a riconoscersi attoniti nelle frasi che svelano l’umano. Un tempo, il nostro incontro, trascorso a cercare di carpire il più possibile di un’esperienza tradotta in sapienza che narra dell’educazione e della sua bellezza. Il don ha rivelato, descrivendo i sentieri artistici della pedagogia, la meraviglia contenuta nell’ essere umano che il lavoro di educatore permette di contemplare e di toccare. E allora, a quel paese il prototipo dell’uomo in carriera, con il doppio petto e la ventiquattro ore, che  scende dall’aereo o dal freccia rossa mosso dall’idolatria nei confronti del dio denaro: i quattrini, con la loro capacità ammaliatoria hanno una sola funzione… (chiedetela direttamente al don!).
Tra i prerequisiti dell’educatore e i quattro cantoni dell’educazione, tra applausi e risate la lezione è volata via facendo emergere nei presenti quella forza data dalla speranza, che anima l’azione di colui che credendo nelle infinite possibilità poste nelle persone, semina non sapendo se e quando mieterà. La straordinaria esperienza di Exodus, di Educatori Senza Frontiere, della Scuola don Milani, delle esperienze Cooperative e di Oratori moderni, tutte lì, sintetizzate in un uomo che ne ha mostrato gli elementi di profondità, ne ha descritto le radici e ne ha indicato le prospettive.
Una filosofia, quella di don Antonio, che colpisce perché parte da un dato nient’affatto scontato: la follia. Non quella che si crede comunemente, ma quell’esperienza che spinge un individuo ad indicare una strada nuova, sentieri inesplorati, che lui per primo ha il coraggio di percorrere. Quella follia che il don ci ha descritto come primo prerequisito per chi educa, perché sottende la capacità di vedere l’invisibile, di far volare il pensiero oltre il seme gettato.
Grazie don per il tempo che abbiamo passato insieme, per averci detto, senza troppi voli pindarici, che è l’incontro con l’altro la possibilità che possiamo cogliere, il tesoro nascosto. Grazie perché dalle tue parole è emersa innanzitutto la tua anima di educatore, di maestro. Grazie perché sei venuto ad incontrarci, sei venuto tu da noi e questo per noi che ci prepariamo a diventare educatori è l’insegnamento più grande.

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