Scritto da Ivana Iannone

Sono tornata a casa da poche ore, eppure sembra già passata un’eternità da quando ero in Africa, in Angola. Soltanto ora inizio a mettere in ordine tutti i tasselli di questa esperienza, a razionalizzare quello che è successo e le emozioni che mi hanno travolta.

Quando ho ricevuto l’email che annunciava la mia destinazione sono rimasta senza parole: il viaggio che per anni avevo desiderato e atteso si stava finalmente trasformando in qualcosa di più di un semplice sogno. Poi, a poco a poco, la gioia e l’entusiasmo hanno iniziato a lasciar posto a dubbi, incertezze, paure. Questo viaggio iniziava a perdere il suo alone di sogno e iniziava a imporsi come qualcosa di reale e imminente, che si faceva largo sempre di più nei miei pensieri e nella mia quotidianità. Ho iniziato a mettere nello zaino antirepellenti e domande, vestiti che si sarebbero poi rivelati troppo leggeri, medicine e il timore di non essere e fare abbastanza, di non poter fare abbastanza per quei bambini che già ci aspettavano dall’altra parte del mondo. E poi, una volta arrivata al Centro de Acolhimento Criança Feliz, molti dei miei dubbi sono stati dissipati istantaneamente, dopo i primi momenti trascorsi con loro. Ho impiegato un paio di giorni ad adattarmi a una realtà così diversa, a quest’Africa così prepotentemente viva, immensa, emotivamente ricca ma anche forte e cruda, in un modo che va al di là di ogni immaginazione. Ad accompagnarmi in questa fase di scoperta sono stati proprio loro, i bambini…Loro mi hanno preso per mano e fatto vedere come si vive lì, mi hanno fatto capire che non era importante cosa facessi o dicessi, a loro bastava il mio esserci, il mio essere lì con loro a percorrere insieme una strada polverosa. Mano nella mano, senza parlare, capendoci a gesti, sguardi e sorrisi. Sono entrati in punta di piedi in un angolino del mio cuore, ci si sono accomodati con l’intenzione di non andarsene più via. Mi hanno attraversato l’anima, facendomi provare una tenerezza così forte da fare male. E mi mancheranno. Mi mancherà Mingo, il mio assistente, che mi aiutava nei lavori di casa e ogni mattina, alle otto, era pronto per imparare l’italiano e impartirmi una lezione di portoghese; mi mancherà Jassi, che ogni sera voleva un abbraccio e la buonanotte, mi mancherà Amanà, che ogni mattina, con una solennità dolce e buffissima, da uomo adulto, mi stringeva la mano per augurarmi il buongiorno. Mi mancheranno tutti, con i loro occhi profondi e luminosi, con la loro allegria e la loro voglia di vivere. Mi mancherà ballare con loro sotto il cielo africano e vederli ridere. Loro che mi hanno insegnato a scoprire e riscoprire il valore di tutto quello che ho, di tutto quello che forse in alcuni momenti avevo dato per scontato, loro che mi hanno fatto capire quanto si possa essere ricchi anche solo con un abbraccio e una stretta di mano. Ecco, quest’Africa mi ha preso per mano. E mi ha insegnato a vivere.

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