di Francesco Mansi

La sveglia ormai non è più necessaria: si vive con il sole.

Guardo fuori dalla finestra: c’è foschia, nebbia.

“Bene,” mi dico tra me e me, “oggi ci sarà il sole, sarà un giorno speciale.”

Terminata la colazione, siamo pronti a partire.

La “tangenziale” che ci porta a Ivoamba ci aspetta.

Ogni giorno si conferma ricca di sorprese: un viavai costante di persone indaffarate che trasportano oggetti, materiali, bambini, speranze.

Macchine, moto, scooter, camion, biciclette, carretti, zebù, maiali, galline e oche si alternano, muovendosi nel caos ordinato e costante dei posti vivi.

“Salama, salama, veloma, veloma.”

La strada per me non è facile: inciampo spesso, rischio di cadere, ma la curiosità, la voglia di osservare chi passa, cosa trasporta e i paesaggi che attraversiamo è troppo forte.

Quando arriviamo nella piazza di Ivoamba, l’immagine è questa: a sinistra la chiesa con il suo tetto di lamiera e il campanile. Il sole splende ormai alto, luminoso, caldo: un clima perfetto. Davanti a noi c’è un quadrato di 10 m x 10 m dove gli abitanti del villaggio, con cura e precisione, stendono i baccelli di fagioli per farli seccare. A destra la scuola, che in questi giorni abbiamo utilizzato come sala pranzo, e al centro, nella piazza di terra battuta, tutti i ragazzi sono impegnati nelle animazioni, muovendosi coordinati e a ritmo con la musica, nell’aria fresca del mattino.

Ci buttiamo nella mischia, ripetendo passi di danza ormai consolidati nelle settimane precedenti e scambiandoci cenni d’intesa.

Nella frenesia del momento, una serie di domande risuona nella mia testa: l’attività di oggi andrà bene? Avrò portato tutto? Riuscirò a spiegarmi sul da farsi con gli altri educatori? Riusciremo a lavorare bene l’argilla? Finiremo in tempo?

“Cri!” urlano gli educatori di Human.

“Cra!” rispondono i ragazzi.

Andiamo al campo poco distante dalla piazza principale del villaggio: ci sono due porte da calcio, l’erba è curata dai migliori giardinieri della zona, gli zebù.

Le colline in lontananza si stagliano rassicuranti, abbracciate da un cielo azzurro che sembra altissimo; tutto intorno ci sono risaie che in questa stagione sono asciutte e campi coltivati.

Alcuni ragazzi di Human sono andati a prendere l’argilla in un campo vicino. Noi ci dividiamo in gruppi e aspettiamo di ricevere il blocco per iniziare l’attività; nel frattempo, distribuiamo i pezzetti di cartone e spieghiamo i dettagli dell’attività agli altri educatori che ci accompagnano in questa avventura.

I bambini e i ragazzi di Ivoamba ci guardano un po’ perplessi, come se tutto il loro corpo dicesse: “Cosa dobbiamo fare con questa roba?”

Consegna:

Modellate l’argilla a vostro piacimento, sperimentate, create quello che volete.

Dopo la confusione iniziale, tutti iniziano a lavorare il loro pezzetto di argilla, attenti a non rovinarlo, modellandolo con pazienza, osservando ciò che fanno gli altri, inumidendosi le dita per correggere alcune imperfezioni, mordendosi le labbra per la concentrazione.

C’è chi modella piccole ciotole, chi fa piccole pentole, chi modella zebù, chi crea fiori, dadi da gioco.

C’è chi disfa tutto e ricomincia da capo, chi modellando tanti pezzetti diversi, chi aiuta i propri amici e chi si prende bonariamente in giro.

L’argilla è un materiale molto presente in questa zona del Madagascar: spesso ci è capitato di vedere persone impegnate a fabbricare mattoni di argilla lungo le strade, che vengono impilati in piccole torri e cotti accendendo fuochi all’interno.

Con quest’attività i ragazzi modellano la loro realtà, trasformando un materiale da lavoro in materiale ludico, dando sfogo alla fantasia e alla creatività.

I bambini e i ragazzi sono fieri e orgogliosi dei loro lavori: me li mostrano felici, si mettono in posa, li fanno vedere ai loro compagni, si dipingono la faccia, fanno smorfie.

L’attività si avvicina al termine. Ora dobbiamo rientrare al campo base, la piazza. Tutti i ragazzi trasportano le loro creazioni con l’amore e la cura che solo chi ha creato qualcosa di fragile può avere.

I ragazzi di Human si raccomandano: “Portateli a casa per farli seccare, ma domani riportateli, che li coloreremo con le tempere.”

I bambini si allontanano a piccoli gruppi, trasportando le loro piccole opere d’arte, soddisfatti ed entusiasti.

Anche noi ci avviamo: è ora di rientrare, il sole si sta avvicinando all’orizzonte e dobbiamo essere a casa quando sarà calato.

Non c’è il traffico che abbiamo incontrato all’andata, ma facendo attenzione si riconosce la gente che torna a casa dalla giornata lavorativa, la stessa che abbiamo incrociato al mattino.

Le biciclette, le moto, gli zebù, le oche, le galline sono tutti più silenziosi e si dirigono verso casa.

Il sole è calato, rimane solo il cielo blu dopo il tramonto. Noi varchiamo il cancello, infreddoliti, stanchi ma soddisfatti e contenti della giornata.

Domani li coloreremo.

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