di Monica Cimbro

orològio s. m. dal lat. horologium, e questo dal gr. ὡρολόγιον, propr. «che dice, che annuncia l’ora» (comp. di ὥρα «ora» e tema di λέγω «dire»).


Tra tanti orologi che ho avuto, ricordo bene il primo, regalo dei miei genitori. Un piccolo orologio di metallo, con il quadrante azzurro e le lancette color argento, che sembrava grande sul mio polso di bambina di seconda elementare. Uno di quelli analogici, con la carica a molla e il datario.
Lancette che annunciano ore ordinarie, quella della sveglia del mattino, della campanella della scuola, dell’autobus o del treno che ci porterà al lavoro, dell’incontro con gli amici, della cena in famiglia, della buonanotte. Ore sempre precedute da un’attesa. “Zia, non vedo l’ora che arrivi Natale!”, mi ha detto questa mattina Lisa.

Un autore nigeriano di cui non ricordo il nome ha scritto che “Dio, quando creò il mondo, regalò agli africani il tempo e agli europei l’orologio”.


Il tempo è dunque prevalentemente attesa, che capita a volte di percepire e giudicare come tempo perso, tempo sprecato, inutile. Attesa di annunci che durano un istante, é niente – non vedo l’ora -, e poi ancora attesa. Fare Avvento significa attendere, avere l’orologio al polso, sentirne il ticchettio senza l’ansia del dover fare, sostare non per rimanere fermi ma per ripartire. Tempo che possiamo regalare alle emozioni e ai desideri, anche quelli più grandi e “impossibili”. Tempo per aprire la mente e il cuore alla riflessione, lasciando fuori i rumori e le grida che ci confondono.


Non vedo l’ora che finisca la guerra, che finiscano tutte le guerre. Sembra l’illusione di un bambino, eppure credo fermamente che ci debba essere questa tensione alla speranza, che parte da una riflessione individuale sul valore e sul rispetto della vita, senza se e senza ma.
Buon Avvento, in attesa del giorno della Pace in terra per tutti gli uomini di buona volontà.

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