Scritto da Chiara Romano

Eccoci qui un’altra volta, al ritorno dall’ennesimo viaggio. Stavolta non sono stata molto lontano da casa e a dir la verità non avevo neanche delle grandi aspettative.

Ho semplicemente preso un treno in tarda mattinata ed iniziato a scrivere non so bene dove, non so bene quando. Avevo ritrovato un vecchio diario, un regalo delle mie compagne di viaggio in Brasile, già scritto e scarabocchiato. Mi piaceva l’idea di riprendere la strada da lì, da quel sospeso che dà un senso al perché sono capitata qui.

La mia nuova compagna di viaggio l’ho incontrata a Tiburtina, non si può dire che ci conoscessimo bene, che sapessimo a cosa andavamo incontro.

Quando siamo arrivate ad Africo eravamo sole in mezzo ad una strada buia, coperte da un cielo carico di stelle bianchissime.

Poi abbiamo trovato la casa, una casa grande, piena di spazio, piena di storie che si sfiorano appena. I ragazzi dello SPRAR ci aspettavano tutti lì ed erano tutti diversi, venivano da ogni parte del mondo.  Non si può dire che avessero molto in comune, se non un viaggio ed una casa.

Le strade per arrivare ad Africo sono innumerevoli, alcune più semplici ed altre più sporche e dissestate.

Ad Africo si arriva con la macchina, con il treno, con l’autobus, con la barca o camminando.

Ad Africo si arriva per mille motivi diversi, con le scarpe o a piedi scalzi.

Ad Africo le storie si sussurrano appena, si raccontano sottovoce la sera sotto il gazebo, mangiando un gelato al pistacchio o un torciglione.

Ad Africo bussano continuamente alla tua porta. C’è chi bussa di prima mattina per regalarti un pezzo di pane e chi bussa nel pieno della notte per un addio inaspettato.

Ad Africo si mangia con le mani, perché bastano quelle. La mattina si fa il pane, un pane semplice fatto solamente di acqua e farina. Eppure basta quello, bastano braccialetti e collane di lana riciclata per creare dei legami.

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