La mia avventura inizia con la parola “Angola”, poi “Luanda”, poi c’è stata una pausa nel discorso, per poi riprenderlo con la parola “Huambo”.

di Isabella Galloni

Huambo è una parola che indica un luogo, ma che si trascina un carico troppo pesante e variegato: frustrazione, gioia, impegno, voglia di non mollare, abbattimento, amore, risate, rabbia, impedimento, demoralizzazione. Questo è Huambo: un calderone di contraddizioni.

In realtà, Huambo rappresenta quaranta ragazzi, dagli otto ai ventitre anni, ognuno con una storia che gli è capitata, che non ha deciso e che ha pochi strumenti, o quasi nessuno, per cambiarla. A volte, abbiamo la sensazione che si siano assopiti, che abbiano accettato passivamente la loro condizione.

Sono ragazzi che usano tante parole come veicolo, ma alla maggior parte delle quali non sanno dare la giusta importanza, il giusto significato, alle quali non sanno associare un giusto tono a seconda del contesto. La maggior parte delle volte capita che c’è la parola sbagliata che fa da innesco per un conflitto che non viene risolto con le parole, poi ci sono quelle che si accavallano e che non si capiscono perché qui le parole non vengono ascoltate…

C’è stato un momento, fatto di pensieri tramutati in parole, dove ci siamo chieste come dare ai ragazzi una nuova chiave di lettura per le loro parole, per saperle ascoltare in modo da risolvere il conflitto in maniera diversa… E così, per gioco, è nato il momento della “Parola”, momento significativo per noi ESF durante la nostra formazione.

La Parola è un momento di condivisione, dove ognuno racconta liberamente, uno alla volta, le emozioni, le sensazioni suscitate da un periodo vissuto o da una specifica attività svolta, lo scopo, oltre ad essere un momento di sfogo, è soprattutto uno spazio di ascolto, utile a metterti in contatto con l’altro, ad aprirsi, a creare fiducia in se stessi e nell’altro, a capire che il medesimo istante ha provocato diversissime reazioni e stati d’ animo.

Ovviamente, per noi adulti, le regole sono sottointese, ma, in questo caso, con dei bambini, se ne sono dovute dare poche, ma semplici:

  1. si parla una sola volta,
  2. si ascolta l’altro in silenzio,
  3. non si ride,
  4. non si può entrare e uscire dalla stanza.

L’esperimento è partito bene, i bambini hanno iniziato a raccontare con tranquillità le loro giornate, descrivendo i sentimenti correlati ad ogni momento, impressionante quando ti dicono che la giornata è trascorsa bene perché non hanno litigato con nessuno…sul nostro viso appare un’espressione mista tra lo sbigottito e il soddisfatto, presuntuosamente lo interpretiamo che, forse, qualche nostro messaggio sia stato recepito. Certo, poi sono sempre bambini, la risata scappa, hanno più difficoltà a stare fermi e a mantenere la concentrazione per tanto tempo, soprattutto dopo una giornata per loro molto faticosa, noi, dalla nostra parte, non possiamo fare altro che avere un minimo di tolleranza. Sicuramente anche l’ambiente scelto non aiuta, infatti, la Parola si svolge in una delle stanze da letto dei ragazzi, l’unica con la luce, dove chi non partecipa entra ed esce, sistema il proprio armadietto o vuole semplicemente dormire e la nostra presenza lo infastidisce.

Dopo una giornata a fare compiti, pulizie, attività, aspetto con piacere il momento della sera che dovrebbe essere il più calmo, il più dolce, mentre, in realtà, stiamo vivendo delle criticità. Negli ultimi due incontri, infatti, la confusione e la mancanza di rispetto sono state protagoniste… di conseguenza, la calma e la dolcezza si sono trasformate in arrabbiatura e sconforto. Ricominci, provi a rispiegare loro l’importanza dell’ascolto e del rispetto reciproco e quando pensi che quel passettino in più sia stato fatto, loro cadono e tu con loro.

Adesso, abbiamo deciso di interrompere questo momento di condivisione e riprenderà solo nell’istante in cui vedremo da parte loro una volontà a partecipare con serietà, con comprensione, con la voglia di mettersi in gioco, di dare fiducia non solo a noi, ma ai loro compagni, “fratelli”, così si chiamano tra di loro.

Noi, nel frattempo, ci interroghiamo sui motivi di questi passi indietro, discutiamo, ci confrontiamo e non ci demoralizziamo, cerchiamo di trovare soluzioni alternative, la prima, nel caso l’esperimento dovesse ridecollare, sarà cambiare la location, trovando uno spazio comune diverso dalle camere da letto che possa aiutare la concentrazione e che possa creare la giusta atmosfera.

Come ho detto, è un esperimento, e prima di trovare la formula giusta, bisogna cercare l’equilibrio fra gli ingredienti, a volte si procede fluidamente, altre, si provocano reazioni indesiderate e non si può fare altro che fermarsi, capire dove è stato l’errore e ripartire.

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