Ci sono un padre e un figlio, c’e un cammino fatto insieme, ci sono passi ed emozioni che hanno accompagnato i paesaggi e i pensieri.

Scritto da David Perfetti

I passi sono stati lenti e calibrati, mentre i pensieri sembravano, e lo sono tutt’ora, degli acrobati disordinati. Ora che siam tornati, vorrei restituirgli il loro meritato riposo. Ecco, mentre i piedi, liberi delle loro scarpe, respirano insieme alle sensazioni vissute, vorrei restituire ai pensieri una coreografia ordinata ed armonica.

Introduzione:

Elogio dei piedi

Perché sono lontani dalla testa

(…)

Perché reggono l’intero peso.
Perché sanno tenersi su appoggi e appigli minimi.

(…)

Perché portano via

(…)

Erri De Luca

Scena 1 – Siamo in cammino, un muro affianco a noi trasforma le nostre ombre in compagni eretti, poi un messaggio: solo por hoy confia. Ad ogni passo un nuovo pensiero:

confida nell’esperienza di un padre

confida nella speranza che ti porta l’andare

confida del silenzio dei boschi, del suono dei tuoi battiti e dei movimenti dei tuoi muscoli

confida dell’affetto che nessuno potrà mai toglierti , nemmeno i vuoti di memoria

confida negli occhi di un padre stanco ma felice di lasciarsi accompagnare

confida dell’amore che la natura genera se amata.

Passo dopo passo confido che insieme riusciremo ad arrivare.

Scena 2 – Il silenzio del bosco, gli uccelli ancora dormono, il suolo è umido, vellutato. Io son davanti, papà poco dietro di me, sento i suoi passi, fanno eco ai miei e contemporaneamente mi danno il tempo: per tenere il suo stesso ritmo dell’andare, per permettermi di essergli accanto, di accompagnarlo ed eventualmente sostenerlo. Lui che ha saputo guidarmi e che ancor prima mi ha insegnato a camminare. Mi fermo per un momento, i muscoli mi tremano ma forse sono i miei pensieri a tremare, ora sono io a fare da genitore al proprio genitore. Chi è figlio chi è padre?, ora non esistono più ruoli, in cammino siamo tutti uguali.

Scena 3 – Papà è stanco, in alcuni momenti quasi barcolla, nonostante le mie richieste non vuole fermarsi, non vuole lasciarmi lo zaino. Comincio un po’ a preoccuparmi e anche un po’ ad impaurirmi. Non smetto di osservarlo. Lui continua, i suoi passi trasmettono determinazione, al contrario dei suoi pensieri, sempre più eterei. Ancora una volta m’insegna la tenacia, mi dimostra la fatica che serve per arrivare ad un obiettivo, ed ecco che, come da bambino, la paura insieme a lui si trasformava in un sereno coraggio.

Scena 4 – Oggi abbiamo una nuova compagna di viaggio, la nebbia; tutto intorno a noi è avvolto da fitte e basse nuvole. Lei, come avvolge il paesaggio, avvolge anche il nostro sentire. Io con i miei passi silenziosi, quasi per non farmi scoprire, cerco di allontanare questa fitta foschia e di scoprire i pensieri di mio padre, si perché, in questa nebbia, che stiamo attraversando, intravedo la sua mente. Lui che mescola i ricordi, scene passate vissute, con storie ascoltate o da lui inventate. È sempre stato bravo ad inventare storie, ma sapeva che erano fantasia al contrario di adesso che la sua memoria le fa credere realmente accaduti. La nebbia avvolge le emozioni, le mescola, le nasconde, li rende un tutt’uno, presente, passato, realtà e immaginazione; ecco come ora m’immagino la testa di mio padre. Vorrei rimanere li, attraversarla ed un certo punto fermarmi, lasciarmi avvolgere e cercare di prendere il più possibile da lei, cercare di abbracciarla e contenerla, di tenerla un po’ con me e magari poi regalare dei pezzi a papà.

Continuiamo a camminare, insieme, attraversiamo tranquillamente questa nebbia. Lasciamoci godere da questo naturale non-finito, perché io la memoria ancora ce l’ho e, dove finirà la sua ci sarà la mia. Pian piano il cielo comincia ad aprirsi, il paesaggio riprende forma e colore, cerco di apprezzare il più possibile quel che stiamo vivendo, inutile annebbiarsi con ciò che è stato, conta soltanto quel che è ora, conta soltanto quel che ancora potrà essere, vivendolo, condividendolo.

Scena 5 – È sera, anche se fuori c’è ancora luce. Il sole delicatamente scende, la luce diventa corposamente calda, le ombre si allungano sempre più. Anche noi ci distendiamo, ci meritiamo un dolce riposo, domani un’altra tappa ci attende. Prima che il sonno arrivi, mille domande mi accompagnano: come si sentirà domani? Avrà ancora dolori? Riuscirà a camminare? Forse sto esagerando? Faccio un gran sbadiglio, è inutile programmare, il cammino mi dirà cosa fare, passo dopo passo, respiro dopo respiro, emozione dopo emozione.

Vorrei proseguire, così, a camminare, come stiamo facendo in questi giorni, anche quando saremo a casa, ma ci sarà un altra vita che mi aspetterà, quella vita che proprio papà mi ha insegnato a decifrare, ma non tutta, lasciandomi delle cose da scoprire…grazie papà!

Scena 6 – Sono dietro a papà, mi ritrovo ad osservare il suo passo: è deciso, avvolte insicuro e attento a dove appoggiarlo. Mi concentro sul suo andare lasciandomi trasportare dal canto degli uccelli e tutto diventa più leggero. Abbasso ulteriormente lo sguardo e guardo i miei, di passi. Mi accorgo, anzi svelo che ho lo stesso suo passo, mi stupisco, ho un brivido. Ancora una volta scopro mio padre quanto mi è stato d’esempio, anche nell’andare. Eccoci qui, noi che ci volevano e ci cercavamo diversi, tu un figlio più concreto ed io un padre più romantico. Ci ritroviamo ora a camminare uno affianco all’altro, cercando un ritmo comune, passo dopo passo, passo accanto all’altro, fino a diventare un unico passo, il mio dentro il tuo e viceversa.

Continuo a guardare ed a osservare con attenzione i suoi passi, il camminare, cerco di memorizzarli il più possibile, perché poi, quando sarà, vorrò proseguire come te e per te il tuo andare, come mi hai insegnato e come ho visto. Sono sicuro che, se poi arriverà un momento in cui non mi ricorderò più come erano, i miei passi e il mio cuore avranno sicuramente più memoria dei miei ricordi.

Scena 7 – Siamo arrivati. Siamo davanti alla grande cattedrale medioevale. Papà forse ancora non se ne è reso ancora conto. Lo abbraccio e piango per l’emozione; per fortuna non se ne accorge. Continuo a guardarlo e lo vedo invecchiare, saranno gli occhi lucidi ma ha una gran luce, nonostante sembri spento. Gli do un altro abbraccio, lo stringo più forte. Vorrei sapere cosa pensa, che emozioni sta provando, in questo momento. Lui che dentro ha una gran confusione, lui che non è stato mai molto bravo a comunicare ed esprimere le sue emozioni.

Ora che che siamo qui, a destinazione, dopo, i nostri tanti passi insieme, capisco quanto è vero che la fine del cammino è solo l’inizio. L’inizio di un tempo nuovo, di un nuovo ritmo fatto di pazienza, forza e perseveranza, come i nostri passi ci hanno nuovamente insegnato. Mi auguro che questi non mi abbandonino, che riesca sempre più, giorno dopo giorno, tappa dopo tappa, ad accettare di vederti cambiare, come tu hai accettato i miei cambiamenti nel mio diventar grande.

Conclusione:

(…)

Pensa a Itaca, sempre,
il tuo destino ti ci porterà.
Non hai bisogno di affrettare il corso,
fa’ che il tuo viaggio duri anni, bellissimi,
e che tu arrivi all’isola ormai vecchio,
ricco di insegnamenti appresi in via.
Non sperare ti giungano ricchezze:
il regalo di Itaca è il bel viaggio,
senza di lei non lo avresti intrapreso.
Di più non ho da darti.
E se ti appare povera all’arrivo,
non t’ha ingannato.
Carico di saggezza e di esperienza
avrai capito un’Itaca cos’è.

K. Kavafis

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