Troppi sogni aggrovigliati ai pensieri, prima della mia terza volta in Angola.

Scritto da Silvia Grugnaletti

Quei ricordi lasciati lì e impolverati, che aspettano silenziosi di essere rivissuti.
Sto per partire, e non me lo dico piano o con dolcezza, ma con la determinazione e la forza di chi non ha mollato neanche per un momento quel pensiero: la casa di Huambo. Quel pensiero che non riesco a chiamare sogno, perché è un valore, un ideale, un bene più profondo.
Ma poi il sogno di chi?
Il mio? Il nostro? Il loro?
A pochi giorni dalla partenza, sento muoversi dentro di me un mondo senza confini, talmente colorato e vivo che non vorrà lasciare spazio al dolore, alla rabbia o alla frustrazione di un’Angola che ancora non riesco a comprendere fino in fondo.
Ma quante volte mi sono chiesta perché parto, ogni anno, in cerca di un posto dove far nascere una minuscola speranza? E quanto mi sono chiesta se gli altri riescano davvero a vederne il senso?
Ed io, comprendo veramente quando mi dicono che ho tanto cuore e tanto coraggio?
Perché spesso abbasso la testa e sorrido timidamente, senza dire che con il cuore ci sono nata ed il coraggio è venuto da sé, dalle radici che mi appartengono.
Il coraggio lo trovo negli occhi di chi crede in me e non in quelli che dicono che sono matta a voler passare tre mesi della mia vita in un posto dimenticato dal mondo. Il coraggio l’ho trovato nelle braccia che mi hanno stretto per tanti anni e che mi dicevano: “Andrà tutto bene alla fine. Se non andrà bene, allora non è la fine”. Il coraggio l’ho trovato quando ho capito che il buio è diverso dal vuoto, quando mi sono sentita a casa anche in quel posto che tutte le mani indicavano come troppo lontano.
Mi arrivano tante parole da quel lontano: “Questa casa ti sta aspettando”.
Ed io non so cosa aspettarmi da quella casa, ogni anno diversa nei ritmi e nelle persone, ma sempre maledettamente uguale nella mancata dignità di chi ci abita, quel non senso di appartenenza a una casa lasciata sola. Allora sì, parto di nuovo, parto per più tempo perché non riesco nemmeno a pensare che esistano dei luoghi dove bambini e ragazzi non hanno dignità, cura, protezione.

“Questo è un posto dimenticato da tutti. Ci vuole un gran cuore per tornare ogni volta”.

Noi Educatori Senza Frontiere il cuore ce lo mettiamo sempre, ed ho imparato ad essere coraggiosa quando mi hanno insegnato che il cuore, è tutto ciò che serve. Erano le giornate con gli ESF a ricordarmelo ogni volta, ad aiutarmi a ritrovare il senso di quello che non riesco a chiamare sogno, ma è un bene più profondo. Ed era di notte che ho iniziato ad usare il cuore per trasformare la rabbia in coraggio ed il coraggio in determinazione, quando non dormivo e tenevo gli occhi aperti per altri occhi. Quelli di chi non sa cosa significhi ricevere una carezza portata nel sonno. Gli occhi di chi non smette di contare con le dita, anche se ormai si è fatto grande.
Il cuore mi ha insegnato a vedere sempre il bello, il principe che si nasconde dietro al ranocchio, ad assumere la responsabilità di dire un nome per intero, riconoscendolo in tutta la sua unicità. Adesso, mi prendo la responsabilità di ascoltare e di mettere al sicuro tutte le parole, di aver cura di tutti gli occhi in cui non mi perderò, ma mi ritroverò. Mi prendo la responsabilità di vite che non mi appartengono, ma che hanno incrociato il mio cammino e lì sono rimaste, da qualche parte, a ricordarmi che non posso portare il peso del mondo sulle mie spalle. Ma un pezzettino sì. Un pezzettino posso portarlo. Uno io, uno tu, uno chi c’è stato prima di me e uno chi verrà dopo e dopo ancora.
E adesso chiedimi se tutto questo mi basta per partire di nuovo, per più tempo.
Per una volta, la risposta la porto con me già da tanto: sono pronta veramente. Perché là, dove una volta mi ha spinto la curiosità, la fuga, la passione, l’amore, un pezzetto di me, in quel mondo che porto sulle spalle, è rimasto.
È questo il tempo che ho deciso di donare a me, a noi ESF, ai bambini di Huambo.  Non è il tempo di un sogno, ma di un bene più profondo.

 

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