Questo elaborato è stato scritto da un gruppo di ESF in formazione, una riflessione corale, che vorremmo condividere anche con voi.

Ci siamo, siamo seduti uno di fronte all’altro e iniziamo a leggere i brani di Giuseppe Vico.

Leggiamo, rileggiamo, sottolineiamo, cerchiamo e evidenziamo.

E ora? Cosa dobbiamo dire?

Nella mente di ognuno di noi riaffiora il viaggio, l’esperienza errante di qualche mese fa, oramai. Aurora prova a pensare agli odori e ai suoni di Ambalaki per riportarli tutti alla memoria come se fosse lì, Giorgia riprova le stesse Vere Emozioni che ha vissuto in Angola e intanto Francesca ripensa al suo rientro dal Ruanda, a come è stato bello raccontarlo e condividerlo per renderlo più reale.

Luigi ripercorre le strade della Romania insieme ai cani abbandonati e ai bambini che conoscono purtroppo molto bene il significato della durezza della vita e Cecilia si ricorda del suo stupendo gruppo, delle compagne di viaggio, del loro rapporto nuovo e indissolubile creatosi in Madagascar.

Poi c’è Simona, che si guarda intorno ma rivede solo i volti dei ragazzi della comunità dell’Honduras e non sa come fare a trattenere le emozioni e a rimetterle in ordine.

David ci ascolta, cerca di catturare e conservare tutte le nostre parole, le vorrebbe fare sue, sa che forse è finito il suo ruolo da spettatore e che è arrivato il momento di mettersi anche lui in cammino con il suo naso rosso, da vero protagonista.

E poi ci sono io che voglio tornare a tutti i costi con il pensiero a Ambalakilonga, ma sono distratta dai miei compagni, dai loro sguardi persi, dai loro viaggi; li rivedo scorrere nei loro occhi, come se avessero voluto riavvolgere la pellicola e non hanno intenzione di togliere nessun fotogramma per godersi ogni passaggio, ogni attimo di quella esperienza.

Cristina e Elena ci riportano ai brani, ci domandano cosa troviamo di noi nelle parole tanto complesse e dense di significato di Vico, di quella erranza educativa, della didattica ambulante, del problema dell’educabilità, della fragilità e della vulnerabilità della persona.

Noi però siamo persone tra altre persone, viviamo rapporti educativi, avvertiamo quel misterioso sentore che la vita è un dilatare e portare a spasso la propria educabilità cercando l’altro. Amiamo la povertà, i talenti inespressi o soffocati, la solidarietà a sprazzi, la giustizia e l’equità.

Ora ci troviamo nella posizione difficile di ripensare alla nostra esperienza, al nostro cammino, alla rilettura della nostra vita riportando in luce la riserva di parole chiare e incisive che ormai sono radicate nella nostra realtà di ogni giorno.

Ripensiamo alla nostra carica spirituale personale e di gruppo come carta vincente per vivere tra miseria e povertà: la rivalutiamo, la rivediamo per trovare una motivazione nuova, sempre più forte che possa mantenere la nostra testa e i nostri piedi in cammino come essere educabili avvertendo il bisogno di intraprendere a narrare le nostre sfide educative.

Allora ci interroghiamo sul reale bisogno di noi in Madagascar, in Romania, in Honduras, in Ruanda e in Angola, se il nostro seminare una volta all’anno possa aiutare davvero qualcuno. Abbiamo scoperto che gli Esf sono egoisti, che partono per loro stessi, per crescere e per ricominciare, dalla fine all’inizio, a stupirsi dell’incontro con l’altro.

E ripercorrere la sofferenza, la paura, i dubbi, il ritorno all’essenziale, la diversità e le nostre difficoltà ci fa sorprendere di quanto ancora ci sia in noi di quella carica iniziale che ci muove e ci smuove incessantemente.

Noi.. AURORA, GIORGIA, FRANCESCA, LUIGI, CECILIA, SIMONA, DAVID, FEDERICA.. siamo qui, in questo cerchio, perché abbiamo vissuto una forte trasformazione interiore, abbiamo capito chi siamo e ci crediamo, crediamo nell’educabilità dell’uomo, crediamo negli scartini, amiamo vedere le lucciole brillare di giorno. Abbiamo trovato la vera forza di metterci in moto e ora è difficile frenare il nostro pensiero che vola lontano, è impossibile creare un nodo e non lasciare scorrere sul volto lacrime di dolore e di profonda gioia. Ci siamo arresi forse al capire il perché ci siamo, il perché abbiamo deciso di esserci. L’unico punto fermo al momento è sapere che siamo tutti sulla stessa barca, con responsabilità e vite diverse.

Alla luce del nostro viaggio, abbiamo capito l’importanza reale della formazione continua, del fermarsi a riflettere, a ascoltare e a condividere le nostre paure e fragilità.

Questa forse è l’essenza di educatori senza frontiere, forse questa è l’essenza del nostro gruppo.

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