Scritto da Aurora Colantonio

Quanto sia difficile per me scrivere quest’articolo non potete neanche immaginarlo. E’ difficile farvi comprendere i colori, i suoni, gli odori della mia esperienza di sei settimane in Madagascar, ma tenterò ugualmente.

Se penso al Madagascar penso al rosso della terra, che mi è rimasta ancora sulle scarpe; penso alla risata del bambino dell’orfanotrofio mentre gli faccio il solletico; penso all’odore pungente dei fornelli a carbone di legna per la strada.

Ma non penso solo a questo. Mi vengono in mente anche le centinaia di stoffe colorate in bella mostra al mercato; le canzoni cantate in comunità con i ragazzi e i loro bonghi; l’odore dei bambini che ti corrono incontro mentre vai a “lavoro”.

Ho reso l’idea? Forse ancora non del tutto. Allora vi dico cosa mi ha sorpresa di più mentre ero lì: il fatto che appena arrivata, dopo quel lungo viaggio, ho avuto la sensazione di essere arrivata a casa mia; il fatto che basta davvero poco per divertirsi: non bisogna inventare chissà quali giochi, basta un pezzetto di legno e tutti sono felici; il fatto che per strada tutti ti salutano, conoscenti e non, con un sorriso a trentadue denti (chi ce li ha tutti); il fatto che quando si fanno male, i bambini smettono subito di piangere quando vedono un cerotto, che sembra quasi la cosa più bella che abbiano mai visto in vita loro.

Un giorno, mentre camminavamo nella parte più antica di Fianarantsoa ho visto una scena che non credo scorderò più: due bambine avevano legato uno straccio al soffitto di un pergolato, sopra ad un marciapiede in discesa, con delle mattonelle lisce. Tenendosi con le mani sullo straccio si davano una spinta e si facevano scivolare supine lungo tutto il marciapiede inclinato. Quello era il loro scivolo.

Ma la cosa che mi ha sorpresa in assoluto di più è stato il calore che ci hanno dimostrato i ragazzi di Ambalakilonga. I nostri ragazzi. Certo, all’inizio c’era un po’ di imbarazzo, ma già dopo una settimana il clima era disteso. Le chiacchiere, le risate, gli scherzi, i giochi, gli abbracci erano all’ordine del giorno. Ogni volta che tornavamo in comunità dopo una giornata fuori c’erano sempre loro, che ti invitavano a giocare a pallavolo, oppure ti trascinavano a fare zumba, a fare una torta o semplicemente a giocare a carte.

Questo mi manca qui in Italia: la confusione di trenta ragazzi che non vedono l’ora di passare del tempo con te.

Questa è stata la mia esperienza.

Quindi, grazie Mada. Misaotra betsaka.

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