Scritto da Silvia Ampollini

Nyagatare. Ventuno anni dopo la strage. Le bocche non parlano, parlano gli occhi, occhi segnati, occhi grandi e scuri che ci guardano fissi in un misto fra gioia, stupore, venerazione e paura.

Non mi abituerò mai a quegli sguardi, mi sento a disagio, mi sento diversa.

Bianchi e neri, uguali ma diversi e con l’assurda perenne convinzione che il bianco sia migliore.

Cammino per strada, in città, nei villaggi e vedo queglio occhi spalancati di bambino che a volte resta impietrito, altre volte ti corre incontro, continua a guardarti poi ti tocca per sentire al tatto le differenze.

Quegli occhi li guardo, a volte cercano una speranza, altre volte dicono che non vorrebbero vivere in nessun altro posto perchè amano il loro Paese.

Occhi di uomini, donne, occhi ingialliti da un’alimentazione scorretta, occhi di bambine con bambini in braccio, occhi di ragazzi, che fanno gli adulti ma poi basta un pallone e tornano bambini.

Non dimenticherò facilmente questi occhi, diventati volti a cui abbiamo strappato un sorriso, voci di un coro che ha cantato all’unisono, mani che si sono strette con affetto, gambe e piedi che hanno danzato e giocato insieme.

Non più bianchi e neri ma solo persone, che insieme possono fare cose grandi, spinte dallo stesso desiderio di amore, perchè il cuore non ha colore.

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